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Elenco di idee che ho cambiato da quando corro

§ febbraio 2nd, 2016 § Filed under Apps, Varie e eventuali § Tagged , , , , , § No Comments

Pochi sport ti cambiano la vita quanto la corsa.

Da un anno esatto ho iniziato a correre seriamente: ho percorso più di 1000km in 85 ore, ho corso 2 mezze maratone, una 30km e 1 maratona, e ho cambiato a poco a poco il mio approccio al tempo, al meteo, ai viaggi, alla tecnologia e agli estranei.

Prima di tutto correre seriamente significa allenarsi a correre. Per anni, e tra alti e bassi e periodi di stop intendo almeno 15 anni, ho corso a caso sempre la stessa corsa: mi davo un’ora di tempo e andavo alla velocità che conoscevo e che mi faceva sentire tranquillo. Un giorno ho visto appesa sulla porta di Simone una scheda di allenamento con una combinazione metodica di ritmi e distanze che non avevo mai corso, ma ho pensato che per me era impossibile, io non sarei riuscito a correre così. A Natale Mauro mi ha regalato un programma di corsa da un preparatore (o più poeticamente mi ha regalato un obiettivo da inseguire), ho fatto una visita per conoscere il mio livello di preparazione, sono stato sgridato per le mie scarpe, perché possono anche non essere rotte, ma dopo i 2 anni e dopo i 1000km le scarpe non ti proteggono più, e sono uscito con un piano per fare una maratona nella primavera del 2016. Soprattutto ho capito che allenarsi significa provare ogni volta qualcosa che il tuo corpo e la tua mente non conoscono già: può essere una distanza, una velocità, una variazione, una pendenza.

Mi sono allenato in questo modo dall’1 febbraio tre volte a settimana e il 15 novembre, prima del previsto, ho corso la prima maratona a Valencia. Non ho saltato nemmeno una corsa, ho tutt’ora un’unghia nera e ho imparato che:

 

_ Il tempo per le cose che facciamo da soli non esiste, dobbiamo crearcelo: non esiste il tempo per la lettura, così come non c’è quello per la corsa. Non avere tempo per qualcosa è spesso una scusa, il tempo esiste togliendolo ad altro. Mi sono alzato prima – so che questo a me viene facile e ad altri no, ma anche questo è tempo – mi è capitato di rinunciare ad aperitivi e uscite varie perché era il giorno di allenamento, ho preso treni a orari che mi permettevano di mettere le scarpe appena arrivato a casa e andare al parco. Mi sembra di non avere sacrificato quasi nulla, non ho più sonno di quanto ne avessi un anno fa, ho trovato 85 ore senza capire veramente da dove le ho prese, forse erano già lì, ma io non le vedevo.

 

_ Il giorno in cui avrai voglia di correre sotto la pioggia non verrà mai, quindi è inutile aspettarlo. Non bisogna decidere se andare a correre o no in base al meteo, è quasi sempre possibile farlo se si è motivati. Il giorno in cui ho iniziato il programma di corsa diluviava, sono rimasto in cucina a guardare fuori dalla finestra, ho controllato Accuweather per capire quanto sarebbe durata la pioggia: sempre. Ho mandato un messaggio a Simone per capire se lui avrebbe corso e mi ha risposto “sono già andato, ora faccio colazione”: esagerato. Ho detto a Mauro, che era sotto le coperte, che non avevo voglia di iniziare, lui ha detto “se non lo fai subito, non lo vorrai fare più”, poi si è voltato, coprendosi con la coperta fino alla punta del naso: saggio e crudele. Sono uscito, ho pensato che ero folle, ho pensato di non farcela, ho pensato ce la faccio, ho pensato sono un eroe, ho pensato perché non c’è gente ad applaudirmi? Basta avere un giacchetto impermeabile e una visiera per ripararsi gli occhi. D’estate, quando fa troppo caldo, è meglio correre di mattina presto. D’inverno è più caldo la sera, ma a me non piace correre al buio, quindi guanti sottili, berretta e fascia per la gola.

 

_Il tempo per correre si trova anche perché è bello andare a correre praticamente ovunque. Se devi correre tutte le settimane, weekend inclusi, puoi decidere di rinunciare ai viaggi (risposta sbagliata), puoi decidere di saltare la corsa quando parti (ma perché?), oppure puoi correre in tutti i posti nel mondo in cui vai. Ho così scoperto che è un modo per attraversare luoghi in cui non andresti, legando ai viaggi delle immagini assolutamente nuove. Ho corso a Santa Margherita nascondendo il cambio sotto il telo blu di una barca in spiaggia, a Rimini guardando persone giocare a beach e a tennis in spiaggia, a Londra superando oche, scoiattoli, pavoni e i sosia di William e Kate, a Porto dove la foce del Taro diventa l’oceano Atlantico ed è il posto più bello in cui abbia corso, a Monaco di Baviera, dove si superano i tedeschi che bevono birra, i turchi che grigliano e i nudisti che prendono il sole, nel sud del Marocco, dove da una parte hai i bambini che ti salutano e dall’altra le dune del deserto, a Venezia a Carnevale dove ho rovinato decine di foto di maschere in posa. Ora quando scelgo un albergo, penso anche a quanto sia facile correre da lì: lavorassi nel turismo, ci farei un pensiero.

Rimini, lungomare Inverno, mattina, Porto Scarpe da running Deserto, Marocco

_La corsa è forse lo sport più istintivo e essenziale del mondo, in fondo c’è chi ha vinto le Olimpiadi a piedi nudi. D’altro canto, a meno che non si segua qualche filosofia particolarmente punitiva, tutta la tecnologia aiuta a correre meglio. Le scarpe le prendo dove mi fanno fare una prova su strada e mi indicano il modello per la mia corsa, dopo di che le compro anche se “brutte”. Il cardiofrequenzimetro è indispensabile per seguire un allenamento e l’esperienza mi insegna che non ha davvero senso prendere il modello basico: prima o poi vorrete sapere tutto quello che un buon cardio può dirvi.

Il mondo delle app: la mia esperienza è che fanno quasi tutte lo stesso lavoro e che la versione gratis fa già tutto il lavoro che ti serve. L’unica che fa qualcosa di diversamente utile è Strava, che ti consente di vedere i percorsi che hanno fatto gli altri runner e non solo i tuoi amici, che non reputo runner migliori degli estranei. È davvero utile quando sei in una città che non conosci e ti chiedi dove andare a correre. La tecnologia serve poi anche a darti la colonna delle corse, perché sì, è vero che si entra in un flusso di pensieri benefici, è vero che è bello ascoltare il proprio respiro, ma insomma io mi alleno con le cuffie e Spotify premium è il mio migliore amico. Ho le compilation per le diverse corse, posso metterci tutta la musica mainstream che voglio, la ascolto offline quando sono all’estero.

Quando inizio un’attività, un hobby, uno sport, mi chiedo quale tecnologia possa aiutarmi, provo quello che esiste gratis, scelgo ciò che si differenzia su un bisogno imprevisto (correre nei luoghi che non conosco), pago per bisogni evoluti (la musica offline), se i prodotti sono a pagamento mi interessa solo l’opinione di chi fa la mia stessa attività (vedi scarpe e cardio).

 

_Gli estranei sono le persone che ho davvero conosciuto in un anno di allenamenti e gare. C’è una sorta di solidarietà in chi si sveglia al mattino presto, i runner si fanno cenni col capo, i proprietari dei cani si spostano solerti, i baristi smettono di innaffiare il marciapiedi: una famiglia cortese e distaccata dagli occhi cisposi. Più si va avanti nella giornata più passa la capacità di essere gentili: quando corri dopo l’orario di lavoro non si sposta più nessuno e sei fortunato se non finisci segato da un guinzaglio dei cani o gettato in un fosso da inseparabili ragazze a braccetto.

A forza di correre nel mondo mi sono reso conto che non tutti gli sconosciuti sono uguali: potrebbe essere una questione di carattere nazionale o di cultura del running, ma per me è stato ben diverso correre per strada a Milano e a Valencia.

Milano, 6 di mattina di un giorno autunnale, un gruppo di valorosi runner corre per le strade del centro di Milano a sostegno della LILT, palloncini colorati, un percorso bello e semplice, con la voglia anche di vivere in modo diverso la città. Per 2 volte, ripeto per 2 volte, ho sentito una persona gridare al gruppetto “ma andate a lavorare, va!”. Alle 6 del mattina.

A Valencia, dove si corre una maratona di una bellezza straordinaria, ho notato nel principale parco cittadino i cartelli “Ciudad del Running” che ti fanno sentire esistente, riconosciuto e nel posto giusto. Non sono mai solo questioni di marketing (e non ci sarebbe nulla di male), sono anche decisioni che cambiano la cultura del posto. Quando decine di persone che non hai mai visto e mai rivedrai gridano il tuo nome un po’ storpiato (segnato sul pettorale, ciudad del running, non dei veggenti), ti applaudono, ti battono il cinque e soprattutto non fanno altro che gridarti ¡ÁNIMO! ¡ÁNIMO!, allora sei allo stesso tempo sorpreso, lusingato, emozionato, commosso, umanamente dopato.

Valencia, Ciudad del Running

Questa idea di interessarsi a qualcosa che sta facendo un perfetto sconosciuto, di stare in piedi ore per dirgli “ce la farai anche tu”, di applaudire per strada chi non conosci è forse la cosa più bella che ho imparato e ne è valsa la pena di svegliarsi presto sempre e ovunque, se poi durante la corsa c’era il sorriso di un estraneo.

 

Il bello del filtro: il fenomeno Instagram

§ luglio 23rd, 2012 § Filed under Advertising, Apps, Cinema, Social Media § Tagged , , , , , , , , , § No Comments

Che io sappia, non esistono statistiche del proprio iPhone. Non mi è dato conoscere quante volte al giorno lo guardo, quanto tempo ci passo, quali sono le attività che faccio più spesso, quali le applicazioni su cui resto più a lungo. E forse è una fortuna, perché potrei scoprire cose di me che non sono ancora pronto a sapere.

Certo, se dovessi scommettere, punterei 4,99 su Instagram come mix vincente di frequenza e durata. Ormai ho chiuso in un cassetto la Lumix, che tante soddisfazioni mi ha dato, guardo con rammarico la Lomo, che sempre più spesso resta a casa nonostante gli scatti di amici appesi alla parete e raccolti su Flickr, e viaggio solo con l’iPhone: probabilmente il numero di foto che faccio e che guardo online supera giornalmente il numero di chiamate che faccio e ricevo.

Io non rappresento certo la misura del successo di un’applicazione, ma lo sono il fatto che ad aprile Facebook abbia comprato Instagram per un miliardo e che qualche giorno fa Instagram abbia festeggiato un miliardo di foto condivise. Tanto è già stato scritto sui motivi del suo successo, per cui mi limito a ricordare alcuni fattori a mio avviso fondamentali: l’estrema semplicità di utilizzo, l’immediata possibilità di migliorare le proprie immagini senza particolari expertise tecnologiche, un’ottima qualità di realizzazione e il piacere di condividere le foto e guardare quelle altrui.

In particolare quest’ultimo aspetto rileva insight interessantissimi sulla natura umana (mi viene quasi voglia di fare una tesi in sociologia dal sapore geek): su Instagram ci si può fare facilmente un’idea generale al di là degli amici stretti, dato che, se non diversamente deciso, il proprio profilo è pubblico e tutti possono trovare le foto degli altri, seguendo i like tra contatti comuni, gli hashtag utilizzati o l’ambita pagina delle foto Popular.

Popular Photos - 22 luglio 2012

Che cosa fotografano le persone, cosa prediligono condividere e che cosa attira i maggiori favori?

Vi sono alcuni classici dell’animo umano che non mancano nemmeno su Instagram: tramonti mozzafiato, cuccioli coccolosi e monumenti da cartolina. Ovviamente anche il cibo è sempre molto popolare, ma già qui mi sembra di notare due categorie di particolare interesse: le personali creazioni culinarie e le colazioni come dio comanda. Food blogger di tutto il mondo hanno quindi un altro modo di mostrare le proprie abilità, di attrarre nuovi lettori e spesso anche di migliorare la qualità delle immagini pubblicate nei post (fare belle foto al cibo è davvero difficile senza quei magici filtri). Le colazioni “a modo” sembrano essere invece un irresistibile oggetto di condivisione per chiunque abbia l’applicazione: sarà il piacere di trattarsi bene al risveglio, sarà che è un pasto spesso sancisce la differenza tra settimana e weekend o tra lavoro e vacanza, sarà che al mattino c’è un’ottima luce per fotografare, fatto sta che cappuccini, marmellate, leziose tavole apparecchiate con tanto di libri e fiori la fanno da padrone. Complimenti quindi a quei buongustai di Breakfast Review che hanno creato un hashtag per importare sul loro sito le foto di questo pasto così fotogenico. Ma in qualche modo anche la catena di hotel NH  ha capito che la mattina è un momento d’oro per coinvolgere i propri clienti e tramite l’hashtag #WakeUpPics è riuscita a raccogliere foto di risvegli nei propri Hotel, protagonisti di una mostra fotografica a Madrid.

Oltre al nostro stomaco c’è un’altra parte del corpo che esercita una grande attrazione fotografica: i piedi. Nudi, con scarpe, in mezzo alla sabbia, fuori dalla vasca, appoggiati a una ringhiera, sembrano essere diventati la metonimia dell’hipster fotografo. Ecco perché sembra assolutamente naturale guardare le foto di brand come Converse e adidas Originals e taggare le proprie scarpe con i loro hashtag. Ma anche marche meno note possono trovare un terreno particolarmente fertile. È il caso di Rebecca Minkoff, un brand di accessori che grazie all’uso di Instagram ha visto crescere improvvisamente la vendita delle proprie scarpe. Da quando la stilista ha pubblicato “the shoe of the day”, il numero di like e commenti alle sue scarpe è andato crescendo progressivamente. Attorno a queste foto di scarpe si è formata una community spontanea che ormai è usata dall’azienda come “tester” in real time del gradimento delle nuove creazioni e come consumatori da indirizzare ai retail in cui i prodotti vengono venduti.

ricerca #converse luglio 2012

L’ultima tipologia di foto che mi incuriosisce ha come oggetto i contenuti di intrattenimento. Mi capita sempre più spesso di mettere like a foto di locandine dei film, scattate prima di entrare in sala, o a immagini dello schermo televisivo che trasmette la prima puntata di una nuova serie, o la scena di un vecchio film entrata nella storia del cinema. Qui non c’è più nessuna velleità artistica, ma solo il desiderio di fare sapere che cosa ci piace, che cosa scegliamo, e quindi di attirare gli apprezzamenti di chi ha i nostri stessi gusti. In un mondo in cui i contenuti si rinnovano e si superano a velocità frenetiche e in cui vedere un episodio con un giorno di ritardo è considerato da perdenti, le immagini sono il modo più rapido per dire io sono già in sala, l’ho già scaricato, so già come va a finire. Le foto battono addirittura Twitter in quanto a velocità e sintesi, e consentono di essere meno banali con minore sforzo.

Si aprono quindi nuove possibilità per i produttori di contenuti, come nel caso della CBS con la serie NCIS: Los Angeles, che ha mostrato ai fan immagini del dietro le quinte scattate dal cast e ha dato agli stessi fan la possibilità di avere una propria foto mostrata durante la puntata finale, usando l’hashtag #NCSILA.

 

Insomma, le 50 milioni di persone che fino a oggi hanno condiviso almeno uno scatto su Instagram fanno gola a tante aziende, ma come sempre negli ambiti social la regola aurea è la rilevanza. A qualunque azienda volesse aprire un profilo e dialogare con le persone, suggerirei prima di guardare cosa gli instagrammers stanno già condividendo e quali hashtag stanno andando per la maggiore. Qualche esempio, per giocare: a un brand di cosmetica possono interessare le migliaia di foto scattate allo specchio (in primis in bagno, ma non solo) da fanciulle di tutto il mondo, sempre alla ricerca di nuovi spunti per mettere online il proprio faccino finto imbronciato, quasi sicuramente di trequarti; alle compagnie aeree possono interessare gli splendidi panorami che vengono fotografati dal finestrino non solo dai viaggiatori, ma anche da hostess e steward (pare che tra decollo e atterraggio non facciano altro). Se già i propri dipendenti sono su Instagram a scattare meraviglie, allora si ha davvero l’occasione di mostrare qualcosa di rilevante.

 

Io, nel mio piccolo, mi offro come testimonial per compagnie di barche alla deriva, spazzaneve e bagnini.

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