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La vecchia sola che mangia riso al barolo

§ dicembre 25th, 2010 § Filed under Senza categoria § No Comments

23 dicembre, ore 21.30, via Vannucci, Milano

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La vecchia sola che mangia riso al barolo è fuori contesto in mezzo a coppie che brindano guardandosi negli occhi e a gruppi di amici che si vanno incontro inciampando nei loro regali. La vecchia sola che mangia riso al barolo è fuori fuoco con quei colori più spenti e modesti anche degli ombrelli lasciati ad asciugare alla porta, delle candele accese sui tavoli, della musica che ribalza sulle pareti in pietra. La vecchia sola che mangia riso al barolo è fuori tono con la sua espressione fissa che non tradisce curiosità e i suoi gesti meccanici che non si attendono sorprese.

La cameriera sembra non vederla veramente, risponde solo alle sue domande: sì, si può abbassare la musica; no, non serve, il formaggio è già nel riso; certo, gliene posso portare altro. La vecchia sola mangia in quel modo a volte imbarazzante che hanno gli anziani, con la bocca un po’ aperta, con la testa un po’ curva in avanti. Prende il pane e fa la scarpetta con impegno, con due mani, con un gesto simile a quello dei bambini che preparano in spiaggia la pista per le biglie. Si versa il vino rosso nel bicchiere, lo solleva senza dovere dire nulla a nessuno, lo beve con la calma di chi ha bevuto molto, non sempre seduta, non sempre buon vino.

È come uno scoglio attorno a cui scorre veloce la corrente dei sorrisi, brindisi, auguri. Le attese per quello che sarà si scansano davanti alle sue ciabatte con doppia fibbia e alle sue calze di lana scura. L’entusiasmo si ferma imbarazzato a guardarla e se ne va abbastanza in fretta da dimenticarla subito.

La vecchia sola che mangia riso al barolo racconta a chi la vuole vedere che per assaporare i gusti non è indispensabile la musica, che è possibile anche essere soli, ma che certamente il formaggio non basta dentro, ci vuole anche sopra.

Un post privato, come quando fuori c'è il sole

§ giugno 12th, 2010 § Filed under Senza categoria § No Comments

La fortuna di nascere al mare è che puoi dire che ti manca. Suona interessante, consente di assumere uno sguardo vacuo verso l’orizzonte e gli altri ti ascoltano con un misto di comprensione e ammirazione.

Anche se è il mare di Rimini.

La sfortuna di nascere al mare è che ti lascia un ricordo di imbarazzo, quasi di sconfitta, quando l’estate immobilizza l’aria e ti trattiene come bloccato in uno spazio che dovrebbe essere vitale e non lo è.

Soprattutto se è il mare di Rimini.

È l’imbarazzo delle celebrazioni in cui sei fuori luogo, è la sconfitta delle promesse non mantenute. È il pomeriggio in cui non ti senti adatto a stare al sole, perché non sei capace di chiudere veramente gli occhi, e osservi quelli che vorresti essere, le cose che vorresti fare e le persone che dovrebbero cercarti e invece no. Allora resti in una stanza in penombra, seduto per terra come massimo gesto di autonomia, e ascolti gruppi che ti spiegano la paura dell’essere sorpresi, dell’incuranza e dell’acqua, non sei sicuro di capire ancora ma c’è tempo, mentre là fuori si addormentano con la publifono, e guardi film in cui ci si bacia a bocca chiusa, ci si aspetta nelle stazioni e le star sono più grandi degli schermi che le imprigionano, mentre là fuori sfogliano riviste e ammirano corpi ancora più belli dei loro. Non lo sai, ma in quel momento stai diventando una persona diversa e stai imparando a stare al sole con gli occhi chiusi senza pensieri. Non lo sai, questo è il problema, e vorresti tanto essere altrove.

Chissà quando lo capisci, chissà se veramente lo capisci, in ogni caso è una sensazione che non si confessa: è semplicemente qualcosa che impara chi è nato nei posti felici.

Non è la mancanza del mare a rendere una persona interessante, ma è sapersi sedere per terra, a piedi nudi, con la testa appoggiata al letto, immaginando di nuotare di notte come quando fuori c’è il sole.

Il post in cui leggo come va a finire Lost

§ maggio 29th, 2010 § Filed under Senza categoria § Tagged , , , , , , § No Comments

A chi fa spoiler, peste lo colga.
Lo so che se qualcuno mi rivela [SPOILER] che Rosebud è il nome della slitta [/SPOILER] e non ho ancora visto “Quarto Potere” è in parte colpa mia (l’ho visto, non temete). Però ecco, se un’ora dopo che è andata in onda la puntata qualcuno mette nel titolo il finale di Lost, allora sì che ti viene voglia di evocare il fumo nero, o per lo meno l’orso polare: qualsiasi riferimento al tgcom è puramente casuale. Qui c’è una lista di colpevoli spoileratori.

Tutt’altra classe invece hanno i veggenti, i lettori di trame, i rabdomanti del senso. Tra questi c’è Adamo Lanna, che nel suo blog ci aveva avvertito per tempo di come sarebbe andata a finire una delle serie più amate e discusse degli ultimi anni. Ecco perchè quando ho partecipato alla #maratonalost organizzata da Lost Italia ero completamente rilassato: vedevo tutti i tasselli andare esattamente al loro posto, come da copione.

Mi sono permesso di leggere questa premozione di Adamo per il bel progetto Collettivo Voci: se volete un riassunto delle sei stagioni di Lost, con tanto di finale scritto in anticipo, lo trovate a questo link.

http://collettivovoci.tumblr.com/post/634455320/maurizio-videogioco-legge-il-post-in-cui-svelo

Possiamo imparare a imparare dai videogame?

§ dicembre 16th, 2008 § Filed under Senza categoria § Tagged § No Comments

Learning through experiment

Un bell’articolo, sul blog del Guardian, a proposito di LittleBigPlanet e sui meccanismi di apprendimento resi possibili da videogame che iniziano a sperimentare nuovi linguaggi.

“Children describe what makes a good teacher, saying that one “explains things clearly”, “turns teaching into problem-solving rather than just giving information” and “makes sure it’s not too big steps”.

The best (videogames) developers create worlds in which players are supported and treated as individuals. Players are seamlessly introduced to the complex physical laws of the game world through a series of lesson-like opening levels. It’s then possible to progress through experimentation, rather than being flattened every five minutes for not doing it properly. LittleBigPlanet, Sony’s creative platforming game, takes a similar approach. Neither resorts to a fenced-off tutorial section, a crap invention that usually manages to patronise and bore players.

All games, like schools, can teach us about our place in the world, but only by providing a supportive framework to creativity and fun.

So the next time you get hopelessly stuck in a game, remember – it’s not your fault. You’ve simply been badly taught by the designer”

http://www.guardian.co.uk/technology/2008/nov/13/learning-videogames

Intro

§ novembre 23rd, 2008 § Filed under Senza categoria § Tagged , , , , , § No Comments

Per una serie di più o meno buone ragioni:

  • perchè lavoro nella comunicazione e adoro i videogame e mi piacerebbe fare uno + uno: parlare della comunicazione dei videogame e dei videogame come forma di comunicazione
  • perchè vorrei fornire uno spazio in cui raccogliere materiale, case history nazionali e internazionali, e avere ispirazioni dai commenti della rete
  • perchè penso che in Italia siamo ancora abbastanza indietro nella riflessione su come il videogame possa divenire un vero e proprio medium
  • perchè mi piace scrivere e leggere le opinioni altrui

Negli ultimi anni il settore dei videogame ha mostrato grande vitalità e notevoli cambiamenti sia a livello di prodotto sia di comunicazione. E’ un settore che come indotto ha superato altre industrie dell’entertainment (musica, dvd…) e che non sembra subire gli effetti della recensione: credo che ci sia abbastanza materiale per mettere in piedi un buon blog, basta trovare il tempo per farlo..

Spero di riuscire a scrivere post interessanti sia per gli appassionati di gaming sia per quelli di comunicazione, ma anche per lettori non impallinati, ma semplicemente curiosi!