You are currently browsing posts tagged with cultura

Il post in cui faccio come Monocle e confronto Milano e Londra

§ gennaio 15th, 2014 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , § No Comments

Scena tipica delle mie giornata londinesi: vari Italiani intorno a un tavolo, varie quantità di alcol di varia provenienza – dal Pimm’s al prosecco al sidro alla birra al vino – l’occhio acuto e la lingua tagliente nel giudicare gli inglesi che ci circondano. Si parla di persone, trasporti, culture, tempo libero, ristoranti, l’essere giovani, l’essere vecchi, l’umidità, i topi, le zanzare, la vita. Si confrontano città, si cerca il posto giusto in cui stare, almeno per un po’. Questo post è una sfida tra Milano, la città in cui per ora risiedo, e Londra, città in cui ho vissuto per 4 mesi, in cui si prendono punti in categorie completamente casuali, soggettive e arbitrarie, e in quanto tali infallibili. Diffido di chi sceglie le proprie città elettive basandosi sulla ragione.

Tutti nudi, ma non troppo: segna Londra con pudore

La presenza di un qualunque estraneo (se non proprio di un qualunque essere umano) rende l’inglese estremamente cauto e incredibilmente goffo. I contesti in cui si è forzati a stare a contatto con gli altri e in cui non si beve alcol sono dei piccoli grattacapi sociali. Prendiamo lo spogliatoio di una palestra, dove bisogna stare a contatto con estranei discinti e sudati. Sembra che agli italiani appena entrati nello spogliatoio i vestiti esplodano di dosso: le persone fanno infinite camminate nudi salutando a destra e sinistra come sulla Croisette, si pesano come davanti a nostro Signore e con dietro tutti gli altri, si contemplano, si analizzano e perlustrano senza problemi allo specchio, soprattutto fanno amabili chiacchierate in presenza dei rispettivi augelli. Lo spogliatoio inglese al contrario sembra il Cirque du Soleil degli acrobati con l’asciugamano, è la gara a chi mostra meno carne, si indugia molto meno tra le rispettive nudità e tutto viene svolto molto in fretta evitando il più possibile il contatto visivo. Non credo sia una differenza di disinibizione sessuale, piuttosto noi siamo una cultura di narcisismo fisico e quindi sbattiamo in faccia a chiunque l’orgoglio del nostro corpo, mentre per gli inglesi è meglio abbandonare alla svelta un campo minato di corpi e interazioni. Preferisco contemplare i risultati dello sport a casa e avere da condividere un luogo più sereno per timidi, complessati, minoranze.

Le mie prove sul campo: Regent’s Health Club e Get Fit di via Piacenza. 

Interessarsi agli estranei: segna Londra, Milano colpisce un palo

Quando si fa turismo a Londra bisognerebbe stare seduti un’ora su una panchina e godere lo spettacolo della varietà di persone che ti passano costantemente sotto gli occhi. Sessi, razze, gusti, stili, atteggiamenti, culture, storie. Stare in mezzo alla gente a Londra è di per sé una ginnastica mentale che richiede di abbandonare i pregiudizi, di limitare le aspettative e di lasciare che ognuno parli per se stesso. C’è molta vitalità in una città in cui non riesci a prevedere le persone con cui dovrai interagire, dal lavoro, agli uffici pubblici, ai vicini al cinema. Un esempio quotidiano: entri in un bar e non sai chi ti servirà, come pronuncerà quello che ti vuole chiedere, quanto rapidamente vi capirete. Tutta questa vitalità porta però anche a molta volatilità: difficile incontrare due volte la stessa persona come in Italia, in cui il bravo barista sa quello che vuoi, ti saluta riconoscendoti, si accorge se per un po’ di tempo non vai. L’incredibile turn over di persone ti fa sentire in un posto sempre diverso e ti apre la mente, ma non può garantire quel calore umano che richiede un po’ di costanza e che alla fine ti dà la sensazione di appartenere.

Le mie prove sul campo: da Carluccio sotto casa ho incontrato persone bellissime, ma mi hanno chiesto mille volte la stessa cosa, mentre il mio barista di via Crema sa che prendo il cappuccino col cacao.

La cultura dà da mangiare: goleada londinese

Londra è letteralmente invasa di manifesti di spettacoli teatrali, film in uscita, album in lancio, mostre attesissime. E le persone ci vanno. Certo, essere in un’economia sana stimola a spendere di più per il tempo libero, ma non è solo una questione di soldi, bensì di mentalità e organizzazione. Prima di tutto riuscire a partecipare a una qualsiasi manifestazione culturale a Londra è molto più facile che a Milano: tutto è acquistabile online, non ci sono processi di ritiro insensati, non ci sono costi nascosti e inspiegabili, non ci sono spettacoli riservati ai ricchi, agli abbonati, agli amici di. Chiunque abbia mai provato ad acquistare un biglietto per la lirica in Italia, ad esempio, sa quanto possa essere frustrante, costoso e senza alcuna certezza del risultato (dopo ore passate a navigare siti non chiari). I teatri londinesi rinnovano gli ambienti, fanno offerte, creano prezzi per tutti, investono in spettacoli classici, in nuove produzioni, in classici tecnologicamente rivisitati. I cinema sbucano ovunque, anche sui tetti, creano simpaticissime serate a tema, ti permettono di mangiare e bere in sala qualsiasi cosa. I musei inglesi sono dei luoghi aperti in cui la gente si mette per terra a disegnare, in cui si possono scattare foto, in cui si possono addirittura toccare gli oggetti. Il successo della cultura non sta solo nella quantità di soldi che girano, ma anche nella capacità di renderla facile, diffusa ed estremamente varia.

Le mie prove sul campo: i posti in piedi da £5 per i BBC Proms, la frustrazione di prendere i biglietti a La Scala.

È tardi! È tardi! Bisogna correre: Milano segna su calcio piazzato

Ammettere di avere tempo è il più grave peccato della società moderna. Non hai troppo da fare? Sei un perdente. Più grande è la città in cui si vive, maggiore è la retorica della scarsità di tempo. Oggi viviamo una tensione tra il numero potenzialmente infinito di opportunità e cose da fare che la tecnologia ci porta a conoscere e ci rende a finta portata di mano, e il numero per sempre fisso di ore che abbiamo a disposizione: da questo contrasto nasce l’ansia di non avere tempo, che a New York diventa addirittura FOMA. Bisogna così ingegnarsi anche per fare sport. A Londra la gente letteralmente corre al lavoro. Tante persone che praticano il running non vanno a correre, si docciano a casa e vanno a lavorare (o viceversa), ma rendono il tragitto da casa al lavoro il loro percorso sportivo. Questo significa che i runner londinesi corrono con grandi zaini pieni del cambio e delle cose per lavorare e all’inizio danno tutti l’impressione di persone che hanno dovuto abbandonare la propria casa in fretta e furia e stanno fuggendo. Ad aggiungere buffezza alla scena i londinesi hanno anche delle bottigliette d’acqua con manico per bere continuamente: si sa che a Londra l’idratazione è un problema… Correre in mezzo al traffico con lo zaino e una bottiglietta in mano è da pazzi, end of the story: preferisco i frettolosi milanesi che trovano ancora il tempo per passare per casa e si inventano percorsi in striminzite aree verdi.

Le mie prove sul campo: Euston Road con i runner nel traffico in una città di parchi, Parco Ravizza con i runner che fanno mille volte lo stesso piccolo percorso.

Mangiare con le stelle: inaspettato gol inglese (Ndr ricordarsi che nessuno batte New York)

In una grande città in cui il tempo scarseggia, non si può sbagliare nulla e certamente non si vuole sbagliare il ristorante o peggio ancora il piatto che si ordina. A Londra tutto è recensito, stellato e commentato: non si scopre mai veramente un ristorante, si nota che molta gente gli sta dando un buon voto. In una città in cui l’offerta è così varia e i ristoranti aprono, si evolvono o chiudono nell’arco di poco tempo questo proliferare di opinioni è utile e stimolante: l’app del TimeOut è un punto di riferimento, TopTable ti chiede una recensione sui ristoranti che hai prenotato online, Foursquare è pieno di utili tips. Nel complesso tutta questa produzione di contenuti invoglia molto a provare nuovi ristoranti e cucine e contribuisce a tenere una città molto viva. Anche a Milano si mangiano bene piatti molto diversi, ma trovo meno immediato scovare le novità e incuriosirmi. Poi certo la voglia di una vita culinaria stellata crea anche delle inaspettate interazioni nei ristoranti. A Londra, proprio dove le relazioni sociali vengono subite e mai provocate, i camerieri sono stranamente socievoli: “complimenti ottima scelta”, “è il mio piatto preferito”, “avete ordinato le cose migliori”. All’inizio pensavo davvero di essere un asso del menu poi ho capito che è la pressione sociale di fare tutto al meglio, come da recensione, a rendere i camerieri così rassicuranti. Forse non è un caso che l’ultima tendenza dei ristoranti londinesi sia il menu di 4 righe, né fisso né alla carte, semplicemente ridotto all’osso. In un posto senza tempo e pieno di opinioni, datemi solo quello che merita veramente e fatemi vivere la migliore esperienza di tutti.

Le mie prove sul campo: a Londra sceglievo dove andare a mangiare mentre camminavo per strada usando l’iPhone, a Milano tendo ad andare sempre nei miei punti di riferimento.

Il pendolarismo fa l’uomo cattivo: sorprendente pareggio.

Degli Inglesi si dice sempre “signora mia, come fanno bene le file loro. Tutti ordinati e rispettosi e che occhiatacce se ti comporti male”. Certo, nei musei, nei bar, alla fermata dell’autobus. Sottoterra invece The Hunger Games. Ho preso metro in tutto il mondo e davvero mai come a Londra ho notato tutti insieme i grandi tabù del passeggero metropolitano: salgono prima che gli altri siano scesi, non si distribuiscono nello spazio, ma si piazzano in mezzo e oltretutto sono inamovibili, nessuno scende mai per agevolare gli altri. Scene che a Milano ancora sollevano indignazione, occhiatacce, commenti ad alta voce e tweet polemici a Londra sono ormai ignorati ed accettati, segno di imbruttimento diffuso. La verità è che in una città così estesa in cui le persone passano letteralmente la vita sui mezzi pubblici e in cui vige una regola ferrea per cui qualsiasi spostamento richiede almeno 45minuti, si diventa più duri e ognuno è un potenziale nemico. Perché non vince Milano? Perché i trasporti pubblici di Londra sono comunque eccezionali. Servizi che mi hanno commosso: l’applicazione per gli spostamenti in metro (TubeMap), la mail del giovedì dei trasporti di Londra con le informazioni relative al weekend, le fermate dell’autobus con indicata la direzione degli autobus e la mappa delle fermate vicine e di tutti i principali collegamenti. Le mie prove sul campo: le spallate date nelle principali stazioni, gli innumerevoli autobus “on diversion”, su cui però non mi sono mai perso.

Ovviamente il bello delle sfide casuali, soggettive e arbitrarie è che uno poi è libero di ignorare il verdetto o aggiungere altre categorie a caso per truccare il risultato. Certo il dubbio mi rimane.

Ringrazio per le chiacchiere, i commenti, i confronti e le cattiverie: Francesca, Richard, Serenella, Mauro, Sara, Matthew, Fabio, Bianca, Matteo, Adelaide, Carmelo, Silvio, Giorgio, Roberta, Federico, Amanda.

L'indispensabile serietà del gioco

§ novembre 9th, 2009 § Filed under Book § Tagged , , , , § No Comments

oasi del giocoIl ruolo che occupa il gioco nella vita dell’uomo è un tema su cui non si riflette abbastanza. In realtà avere una risposta a questo interrogativo permette di sgombrare il campo da tante inesattezze e pregiudizi che spesso si leggono quando si va a parlare di giochi (che siano “video-” o no).

 

Per questo ho trovato molto interessante il libro “Oasi del gioco“, scritto da un filosofo tedesco, Eugen Fink, nel 1957.

Prima di tutto Fink ci invita a riflettere sui momenti chiave dell’esistenza di ognuno: “l’uomo è essenzialmente un mortale, un lavoratore, un lottatore, un amante e un giocatore“.  La nostra esistenza è infatti determinata dalla consapevolezza di dovere morire (toccate ferro, se volete), ed il gioco è uno degli ambiti base attraverso cui l’uomo vive e si contrappone al suo destino: “il carattere del gioco è l’azione spontanea, il fare attivo, l’impulso vitale: il gioco è l’esistenza che si muove da sé“.

 

Eppure c’è un tratto fondamentale che differenzia il gioco dagli altri impulsi vitali. L’uomo vive sempre anticipando il futuro, intendendo il presente come una preparazione di ciò che sarà, un passaggio in un cammino di cui si guarda sempre la destinazione, per capire il senso della nostra permanenza nel mondo. Il gioco si distingue perché è l’unica attività fondamentale a cui manca questa caratteristica di “futurismo”: noi non giochiamo in vista di uno scopo finale futuro, non ci proiettiamo nel tempo a venire, ma lo facciamo per godere di un’oasi di presente, con un senso tutto suo e autonomo rispetto al resto delle attività. “Il gioco ci rapisce“.

 

Questo passo è fondamentale per capire che contrariamente a quanto si pensa spesso sul gioco, e ancora di più sul videogioco, questo non è affatto privo di senso: l’errore nasce dal fatto che tutte le attività umane sono rivolte allo scopo finale, mentre “l’azione del gioco ha scopi interni a sé, che non rimandano ad altro. […] Proprio il senso conchiuso e circolare del gioco fa emergere una possibilità di soggiornare dell’uomo nel tempo, un istante, un lampo di eternità“. In sintesi, il gioco regala il presente e questo dovrebbe fare capire quanto sia insensato organizzare gruppi per buttare i giochi nei cestini: forse queste persone dovrebbero curarsi l’ansia del futuro :-)

L’invito di Finck è di non contrapporre il gioco al lavoro, all’amore, addirittura alla realtà, perché questo sgnificherebbe non capirlo: è un’attività fondamentale dell’esistenza, e proprio il fatto di non essere direzionato verso il futuro gli permette di rappresentare tutte le altre attività: possiamo giocare con il lavoro, con l’amore, con la morte, e, forse in modo ancora più sorprendente, possiamo giocare con il gioco.

 

Il mondo del gioco è una sfera che affascina, seduce, libera dai vincoli e temporaneamente ci trasforma. Anche se poi abitualmente nelle attività serie si fa resistenza al comportamento giocoso, e spesso viene ignorato il giocare con il lavoro, così come viene ignorato molto dell’elemento giocoso che si sviluppa nella vita cosiddetta seria della professione (ma anche della relazione tra sessi). E si ignora che i giochi dell’uomo preferiscono  come loro contenuto tematico proprio le grandi storie tragico destinali, si ignora che noi giochiamo con la strenua fatica del lavoro, con il furore esaltato della lotta, con il trauma di Elettra, con lo sposalizio dei giovani amanti, e a volte perfino giochiamo con la mancanza di serietà del gioco stesso, la ripetiamo, giocando la mettiamo in scena“.

 

Ho pubblicato lo stesso post anche qui.

The way we learn while playing

§ luglio 28th, 2009 § Filed under Education § Tagged , , , , , , § No Comments

Immagine 1

Citazione tratta dall’articolo “Seriuos Games” che potete leggere qui.

Giornali e videogame

§ dicembre 10th, 2008 § Filed under videogame&media § Tagged , , , , § No Comments

Qualche settimana fa, parlando con un ragazzo che partecipa a un master sui videogame, mi è stato fatto notare il ruolo marginale, se non nullo, che hanno i videogame nella stampa generalista.

Credo che uno dei casi di maggiore celebrità di un videogame nella nostra stampa sia stato “Rule fo Roses”, finito sulla copertina di Panorama col poco ambiguo titolo “Vince chi seppellisce viva la bambina” e addirittura portato all’attenzione della Commissione Europea dal lungimirante Frattini: qui potete leggerne un resoconto.

Anche se il caso dimostra soprattutto una conoscenza superficiale della materia trattata e la presenza di una serie di pregiudizi quanto meno imbarazzante da parte di giornalisti, è più importante sottolineare che erano soprattutto notizie come questa a raggiungere la notorietà presso il grande pubblico: una notorietà tale che alcuni, un po’ dietrologi, sostengono che il caso è stato montato dagli stessi distributori del videogame per aumentarne l’effetto cult! Anche se è vero che le cose vietate sono le più attraenti, penso che questo caso dimostri  la netta, e fino a poco tempo fa volontaria, separazione della cultura dei videogame dalla cultura mainstream.

Poi è arrivata Nintendo con la Wii, DS e software inaspettati, e la visibilità positiva è notevolmente aumentata, divenendo esempio e anche traino per l’intera categoria.

Eppure è vero che nei quotidiani o settimanali italiani, i videogame non sono ancora entrati con continuità nelle segnalazioni delle pagine di cultura e intrattenimento, accanto a film, libri, musica, spettacoli, programmi tv: eppure i numeri di vendita fanno pensare a un interesse di un pubblico sempre più vasto.

Perchè? Il fatto di parlare un linguaggio troppo settoriale da parte del gaming è sempre meno vero e meno attuale, e forse occorre valutare anche l’immobilità di molta stampa italiana, che non sa seguire i cambiamenti di gusti e di linguaggi del pubblico, e che, alla fine, rischia di avere sempre meno pubblico che la legge: le notizie di grande crisi della stampa americana, forse il mezzo che più sta risentendo dello spostamento delle audience sul web, dovrebbero fare riflettere sui pericoli che attraversa questo medium.

Però dalla stampa straniera arrivano esempi interessanti di apertura al gaming da parte di quotidiani e settimanali: negli USA Variety ha un blog dedicato all’argomento e soprattutto The Guardian, che a mio giudizio è il quotidiano che fa l’uso più coraggioso del web, ha una sezione di grande interesse e qualità, e che ho intenzione di citare spesso. :-)

Ma la notizia più interessante di tutte è che The Guardian ha addirittura prodotto il suo primo videogame! Come si legge nell’articolo di presentazione, si tratta di “a collaboratively generated text adventure set on a wounded ship deep in space”.

Spaceship, questo il nom del videogame, è quindi un’avventura testuale creata collettivamente dalla comminity dei lettori del blog del quotidiano:

“Spaceship! was developed using social media tools: open-source software, a wiki, the blog. As development ignorami, we drew in established members of the games development and interactive fiction communities to guide and support us“.

Se volete giocare e farvi un’idea di cosa ne è venuto fuori, cliccate qui.

Perchè questa notizia mi interessa? Perchè da un lato i videogame hanno bisogno della stampa (e della tv) per uscire dal loro ambito circoscritto e divenire un oggetto di cultura e intrattenimento a tutti gli effetti, ma anche perchè la stampa può utilizzare il linguaggio interattivo dei videogame per catturare l’interesse di audience sempre più in fuga e per riuscire a coinvolgerla in una maniera sempre più attiva (che fa tanto web 2.0 e compagnia bella).

E, come spesso succede, i primi che lo capiranno avranno un vantaggio iniziale non facile da colmare. O no?