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Elenco di idee che ho cambiato in Iran

§ novembre 12th, 2014 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , , , § 5 Comments

In un bellissimo caravanserraglio divenuto albergo abbiamo trovato un questionario dell’Università di Teheran sui motivi che spingono le persone a visitare e non visitare l’Iran come metà turistica. Accanto a quelli più ovvi come “si sta allentando la tensione con gli USA” oppure “le donne sono obbligate a coprirsi il capo” uno mi ha particolarmente colpito: “penso che viaggiare in Iran mi dia status”.

L’Iran evoca immagini che ti fanno sentire un viaggiatore non banale: meta poco esplorata e civiltà millenaria, rozzi uomini politici e raffinati registi o scrittori, confusa zona del mondo in cui non si capisce mai chi sono i buoni e chi sono i cattivi.

In realtà l’Iran è un paese che prima di tutto mi ha sorpreso, ha preso le mie idee e le ha lentamente cambiate, mi ha dato status senza che me lo meritassi veramente.

 

Non bisogna dare retta agli sconosciuti con la barba nera:

Entravamo nelle moschee con la prudenza di chi non conosce le regole, sapendo solo di doverci togliere le scarpe. Pensavamo di dovere stare muti e contriti e di generare comunque un po’ di sospetto con le nostre facce bianche. Si è avvicinato un signore di mezza età, vestito di scuro, coi baffi e la barba, un classico caratterista musulmano di qualsiasi serie tv. Ci ha chiesto se conoscevamo la Moschea di Yazd e se poteva avere l’onore di spiegarcela. Attorno a noi sono arrivate una decina di persone, tra adulti e bambini: erano la sua famiglia. Ci andava di fare un giro con loro per la città di notte? La moglie della nostra guida era molto elegante, i bambini ridevano di gusto, i ragazzi più grandi volevano fare vedere di sapere parlare bene l’inglese, ma senza correggere i genitori, per rispetto. Ci hanno portati a spasso in una città affasciante e labirintica, tutta costruita col fango, tra torri del vento, vie buie, piazze con giochi arrugginiti e porte da calcio. Quando dovevamo entrare in qualche monumento andava avanti la signora per dire al bigliettaio che noi eravamo loro amici e farci entrare gratis come gli iraniani.

Erano una famiglia metà iraniana e metà irachena, la guerra del golfo li aveva divisi e da allora le giovane generazioni non si erano mai conosciute, fino a quella sera a Yazd, che loro hanno voluto condividere con due italiani, parlando inglese, arabo e Parsi.

Alla fine ci hanno salutato così: “ma voi avete Facebook? Allora possiamo diventare amici?”.

 

Prigione di Alessandro

Prigione di Alessandro

In Iran sono tutti fanatici religiosi

In taxi, nei ristoranti, per strada, in casa varie persone ci hanno chiesto se eravamo religiosi per poterci dire che loro no, non lo erano. Ne ricordo una.

Una signora coi capelli bianchi, verso i 60 anni, elegante. Parlava un bell’inglese perché prima del ’79 aveva amici americani. Aveva una forte passione per la musica e mi ha insegnato il modo in cui gli iraniani schioccano le dita per accompagnare i balli. Eravamo in una casa privata e quindi abbiamo potuto ballare. Io imbarazzato e goffo, lei soddisfatta e sinuosa. Mi ha confessato di quanto le piaccia ballare, ma che ora può farlo solo in casa: anche ai matrimoni uomini e donne festeggiano separati. Mi ha raccontato di quando era giovane e andava al mare in costume, insieme a sua madre, e ora non più. Mi ha detto di essere atea e di quanto sia difficile vivere in un paese che ti proibisce di fare qualcosa che ami in nome di qualcosa a cui non credi. Mi ha confidato che gli Iraniani vivono una vita pubblica che è quella che ci aspettiamo noi Occidentali e il loro Governo, e una vita privata dove bevono alcol, ballano e indossano pantaloni corti. Va tutto bene, purché non si veda fuori e non si pretendano diritti. Nel mio piccolo ho sentito che avevamo in comune più di quanto io e lei ci saremmo aspettati, con la sola differenza che di noi due solo lei sapeva ballare.

 

Le donne musulmane non ti rivolgono la parola:

La tomba del poeta è uno dei luoghi più amati dagli iraniani. Anche chi non abita a Shiraz ti chiede se ci sei già stato e ti invita a farlo il prima possibile. Si tratta di un semplice e bel giardino, con piante, alberi, panchine e al centro una pietra commemorativa di questo poeta edonista.

Dal tramonto centinaia di iraniani si riversano nel giardino a trascorrere la serata, passeggiata, leggendo i versi di Hafez e scattandosi foto improbabili. Tra i giovani il selfie con la tomba va fortissimo.

Siamo rimasti un po’ distanti a guardare questi momenti quotidiani e speciali allo stesso tempo, quando si sono avvicinate due ragazze, molto belle e eleganti e ci hanno, come diremmo noi, abbordato. Ci hanno tempestato di domande (la più frequente domanda in tutto il viaggio è stata “ma cosa si dice da voi degli Iraniani? Pensate che siamo tutti terroristi?”) e ci hanno detto che per loro è una fortuna potere parlare con degli stranieri e esercitare l’inglese. Quando ci hanno invitati ad andare a cena con loro, abbiamo pensato che va bene sfatare i cliché, ma qui si esagera. Non sono passati più di cinque minuti che è arrivata un’altra ragazza con la madre e ci ha chiesto se eravamo francesi. No. Sapevamo parlarlo? No. Avevamo notato qualche francese? Lei voleva tanto esercitare un po’ di conversazione, per caso noi eravamo stati a Parigi?

E siamo passati la sera così, tra persone che si scattavano foto ricordo, giovani che cercavano stranieri per fare lezione in una calda notte estiva.

 

Giardino Botanico a Shiraz

Giardino Botanico a Shiraz

Gli Iraniani sono nemici dell’Occidente:

Una volta una persona mi ha detto che c’è più differenza tra un ventenne inglese e un quarantenne inglese (con buona pace dei quarantenni giovanili) che non tra un ventenne inglese e un ventenne russo.

Diciamo che c’è un periodo nella vita in cui diventa molto importante avere la scritta giusta sulla maglietta, il brand che ti fa sentire figo, il simbolo che ti fa appartenere a un mondo. Non essendo dotati di un verso per segnalare la disponibilità all’accoppiamento, dobbiamo scriverci delle cose addosso e sperare che parlino la lingua corretta. Ecco, se sei un giovane iraniano e intorno a te c’è l’embargo dei prodotti occidentali è un bel problema, ma crea anche le soluzioni più divertenti che ti capita di vedere in giro.

Ho visto un gruppo di ragazzi chic e tecnologicamente evoluti vestiti con il celebre brand: Giorgio Armani, www.giorgio.it, perché è il sito che fa la differenza

Altri, sempre spendaccioni ma con l’anima sportiva, avevano la famosa tuta: Giorgio Armani Adidas oppure Giorgio Armani Nike, perché gli iraniani conoscono il valore della democrazia.

Adidas tra l’altro produce in Iran una linea che non conoscevo, la Saltimbanco, con una scritta che occupa due righe e dice “The only fashion shaoyu design vershion brand for Sports Medicine & Orthopaedics”. Giuro.

Alcuni, più hipster, fanno meno sfoggio dei global brand, ma si giocano frasi accattivanti come il gaudente “Work Hard, Part Harder”, che temo significhi qualcos’altro rispetto a quello che immagino, l’esortativo “Be Shart”, volentieri se mi dici come, o il metafisico “I can’t stop living you”, con accanto tra l’altro l’immagine di una bici.

Ma la più misteriosa di tutte è questa, se qualcuno ha idea di cosa significhi, gli sarò infinitamente grato

 

T-Shirt Fly Vivere a Kashan

T-Shirt Fly Vivere a Kashan

Non posso garantire che chiunque vada in Iran veda le stesse stranezze e vivere le stesse emozioni, ma questo è il percorso che abbiamo fatto noi, con indicazioni di mezzi di trasporto, alberghi e ristoranti.

Un impreciso ma utile itinerario birmano

§ giugno 27th, 2014 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , § No Comments

Tracciare una mappa dei luoghi in cui si è stati è un po’ come rivivere il viaggio.

Creare la mappa della Birmania è un po’ come rivivere il senso di smarrimento del viaggio. Ho provato a cercare hotel in mezzo all’acqua, templi in mezzo ai monti, fermate del pullman in mezzo al nulla: alla fine mi sono dovuto rassegnare a piazzare i marker dove più o meno me li ricordo. E’ comunque molto di più di quello che sapevamo noi quando siamo partiti e quindi spero sia utile.

 

Potrei avere sbagliato di qualche chilometro, ma in Birmania non bisogna avere troppa fretta, o bisogna sperare che gli orologi funziono tutti allo stesso modo.

Orologio birmano

Cose che ho fatto per la prima volta in Perù

§ settembre 5th, 2012 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , , , , , , , , , § No Comments

Il Perù è stato il viaggio delle prime volte. Seguendo una personale predilezione per gli elenchi, lo racconterei così:

  • Ho visto nuovi animali: il condor è il cattivo dei racconti di quando siamo bambini, che ci insegnano il bene e il male. In Perù li vedi planare a 4000m, aprire ali enormi e, senza muoverle, scivolare sicuri nel vuoto, sfruttando le correnti. I bambini li salutano e li applaudono. Gli ex bambini cercando di immortalarli mentre passano alle spalle di amanti, amici, parenti. Li abbiamo visti risalendo dal Canyon del Colca, prima del tramonto e all’alba, regali e solitari come solo grandi uccelli necrofagi possono essere.

foto di Mauro Tosca

 

  • Ho camminato per 52km mai al di sotto dei 2000 metri: dicono che il Perù sia il paradiso del trekking e dicono una cosa vera. Alcuni dei posti più incredibili che si possono ammirare sono raggiungibili a piedi. Il Salkantay Trek, che abbiamo fatto sotto la guida di United Mice, è stato una cosa molto faticosa che rifarei domani stesso. Siamo saliti fino a 4600m e da lì siamo andati ancora un po’ più su per vedere una piccola laguna. Abbiamo sentito il suono lontano  e pauroso delle valanghe che cadevano dalle cime intorno a noi. Abbiamo dormito in tenda al gelo, coprendoci con tutto quello che avevamo nello zaino, con un cielo stellato così limpido che ti cadeva addosso. Abbiamo visto la Croce del Sud e abbiamo pensato ad altri viaggi, altre scoperte, altri marinai. Abbiamo fatto merenda con wonton, marmellata, burro, pop corn e infuso di coca. Abbiamo attraversato la foresta con colibrì, pappagalli, fiori tropicali e abbiamo bevuto il mais fermentato. Ci siamo spostati da una riva all’altra con carrelli sospesi nel vuoto, tirati a mano. Ci siamo immersi in un’acqua che aveva la stessa temperatura del corpo e abbiamo pensato al paradiso. Abbiamo camminato lungo la ferrovia che porta vicino a Machu Picchu e ci siamo sentiti adolescenti. Abbiamo vissuto, dormito, mangiato secondo il sole e non ci è parso strano

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho visto bambini in coda per vedere la TV: in un angolo del mercato di San Pedro c’era un televisore con un cartone di Bugs Bunny e tutti i bambini avevano lasciato le loro bancarelle, i loro giochi di strada, il loro girare e stavano a bocca spalancata davanti a questo focolare domestico in un luogo pubblico. Come loro i bambini di Pisac, attaccati alla vetrina di un negozio di alimentari con una TV in bella vista, a ridere e commentare tutti insieme. E pensare che la TV sarebbe diventata sociale grazie a internet…

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho ricevuto richieste di rating su Tripadvisor, anche nei luoghi più sperduti: forse è dovuto al turismo americano così presente in Perù, ma tutti i ristoranti e gli alberghi che dispongono di un buon rating lo mostrano con orgoglio e nessuno si imbarazza a chiedere apertamente una recensione ai clienti. Uno chef di Cusco ci ha raccontato dell’attenzione bellicosa dei ristoratori per questo strumento, che muove clienti alto spendenti. Di proprietari che mettono recensioni negative ai concorrenti, per abbassarne anche solo momentaneamente la media. Della mancanza di controllo che chi abbia lasciato la recensione sia effettivamente stato in quel posto. Dei controlli ossessivi ogni mattina sulla posizione nel ranking.  Poi nasce la domanda: si sta affermando un nuovo turismo omologato basato sulla media dei viaggiatori precedenti? E’ la soluzione migliore? Come prima i francesi andavano nei posti consigliati dalla Routard e gli altri in quelli della Lonely, così ora i possessori di smartphone vanno nei primi 20 di Tripadvisor? Ma chi si prenderà la briga di andare nei posti non recensiti? E chi vivrà un’esperienza che gli altri non hanno già fatto?

 

  • Ho parlato con un taxista che era anche una guida turistica e un gourmet: la Lonely dedica tante pagine alla Valle Sacra quanto ai pericoli del Perù. Ammirerete rovine Inka, vi deruberanno e i taxisti vi trufferanno. In realtà noi abbiamo conosciuto persone molto amichevoli, incuriosite dall’Italia (il calcio ha il potere taumaturgico di distogliere dalle domande su Berlusconi) e con una particolare fissa per Venezia (sospetto che da qualche parte una TV con un programma su Venezia ha raccolto attorno a sè molte persone). Capire o non capire lo spagnolo non frena i taxisti dal parlare del loro paese. A Lima abbiamo incontrato al volante di un’auto sgangherata un Tripadvisor portatile e interrogabile a piacere. Ci ha raccontato della nuova ondata di buona cucina e bei ristoranti che sta invadendo il paese. Dello chef Gaston Acurio, amatissimo, popolarissimo, onnipresente. Dei limani, che tutti i weekend mangiano fuori. Della cucina peruviana, che è per sua natura fusion, di quella chifa (innesti cantonesi nelle ricette sudamericane), degli spiedini di cuore venduti per strada, con una donna di colore che indossa il grembiule e inizia a sfamare turisti e cittadini in fila. Di tutti i ristoranti più celebri, con un giudizio su menu, servizio, locale, prezzo. Del Pescados Capitales, davanti a cui ci ha lasciato, benedicendo la nostra scelta, e che è uno dei posti migliori in cui abbia mai mangiato all’estero

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho fatto un corso di cucina all’estero: data questa nouvelle vague culinaria peruviana, ci siamo lanciati in una cooking class, ovviamente scelta su Tripadvisor. Una bellissima esperienza culinaria, culturale e umana. Delle ricette di Erick, proprietario del Marcelo Batata, parlerò su Cantarelle, ma la visita al mercato di Wanchaq completamente privo di turisti, dove grasse signore col cappello a cilindro ci hanno fatto assaggiare mille varietà di frutta; la spiegazione dei più gustosi o buffi prodotti della terra peruviana; i bicchieri di pisco che ci siamo scolati durante le ore di corso; l’emozione di cuocere le nostre creazioni nella cucina di un ristorante a pieno regime, sono esperienze che consiglio a tutti, a prescindere dalla voglia di imparare a cucinare

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho visto Saturno: a Cusco, che è probabilmente la città più bella e divertente in cui sia mai stato fuori dall’Europa, ci siamo fatti tentare dalle mille possibilità di svago che esistono anche a 3.300m. Abbiamo visitato un buffo planetario, gestito da una giovane coppia, che con mezzi un po’ artigianali e molto brio ci ha spiegato le conoscenze astronomiche degli Inca, il ruolo delle stelle nelle loro vite e ci hanno mostrato l’altra metà del cielo. L’enorme forma dello Scorpione. La “vicinissima” Alfa Centauri. E gli anelli di Saturno, che sono incredibilmente proprio come li disegniamo da bambini

 

  • Ho fatto scelte di turismo responsabile: quando ho potuto, ho contattato organizzazioni e progetti che tutelassero i lavoratori locali e sostenessero progetti umanitari. Ecco perché per il Salkantay Trek ci siamo affidati a Perù Etico, dove Paola, una ragazza italiana, segue progetti per i bambini di strada e le donne che subiscono violenze. Abbiamo pagato una quota associativa di 20dollari a testa e le abbiamo affidato, con grande soddisfazione, l’organizzazione del trekking. La Piccola Locanda, l’hotel in cui hanno sede, è tra l’altro un posto molto piacevole e accogliente. Noi per dormire a Cusco abbiamo scelto il Ninos Hotel, progetto alberghiero di una signora olandese che con i suoi proventi aiuta i bambini di strada garantendo loro un’educazione

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho aspettato che i mezzi di trasporto fossero pieni per partire: la prima volta ci è successa con il minivan da Cusco a Pisac. Siamo saliti, l’autista ci ha contati e ha visto che rimanevano 3 posti, o meglio 3 spazi fisici per altre persone. Ha spento l’auto ed è andato in strada a raccattare altri passeggeri. Solo quando il minivan era al completo, siamo partiti, con sottofondo di musica latina offerto dalla “radio diferente para gente inteligente“. La seconda volta, a Colcamayo, è stato uno di quei viaggi che fanno il viaggio. Siamo partiti in 4  con destinatione Hidro. Finalmente un bel viaggio comodo, un pullmino da almeno 10 posti, l’ideale dopo le terme. Poi arriviamo a Santa Teresa e iniziamo a girare cercando qualcosa, facciamo allegramente il giro di una piazza contromano, ci fermiamo davanti a una casa dove l’autista scende e citofona. Risale e finalmente abbiamo una direzione: un altro pullmino, con dentro 2 passeggeri, su cui ci invitano a salire. I due autisti si mettono d’accordo, noi paghiamo il primo (ci possiamo fidare o ci inganneranno? Alla fine la risposta giusta è stata sempre la prima), pronti, via. Per modo di dire. Il secondo pullmino inizia il giro del paese (in realtà i 2 passeggeri ci avvertono che loro sono già lì da mezz’ora…), con un bambino affacciato al finestrino a gridare “Hidro! Hidro!”. Alla fine raccattiamo una varia umanità, ma niente, non siamo ancora pieni. Non ci resta che dedicarci al trasporto merci. Ci fermiamo davanti a un negozio e carichiamo acqua, coca-cola, frutta e confezioni di Inka Cola. Durante uno di questi spostamenti collettivi abbiamo incontrato 4 americani imbufaliti perché il mezzo aveva 45minuti di ritardo e protestavano al grido “people have plans, people have agendas”. Come ogni anno, la mia agenda l’avevo lasciata a casa.

 

  • Ho visto Machu Picchu: sì, è una delle meraviglie del mondo “moderno” e non ho nient’altro da dichiarare

Su Flickr ho pubblicato un set delle foto di viaggio.

Su Google Maps, l’itinerario e informazioni pratiche di viaggio.


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