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Elenco di persone che ho incontrato in Birmania

§ maggio 21st, 2014 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , § No Comments

Quando sono arrivato in Birmania non avevo nemmeno un’immagine nota davanti agli occhi. Tutto quello che avevo in mente erano la foto di The Lady e i disegni verdastri sulla pagine di Delisle, le sue camminate col passeggino tra file di monaci, vicini curiosi ed esotiche pagode. Ammetto che per un po’ ho faticato a formarmi un’idea visiva del posto che stavo attraversando. Le città non aiutano: Yangoon è una capitale confusa attorno a una bellissima pagoda, di Mandalay, nonostante il nome poetico, ho un ricordo rumoroso e afoso. Nemmeno il cibo aiuta a sentirsi parte di un luogo: non c’è nessun particolare odore evocativo e colore dominante, tanti curry tutti uguali, con alcune oasi di piacere che ricordo con affetto, ma che sembrano quasi decontestualizzate.   Poi ho iniziato a sentire la forza delle persone che incontravo, dei volti che rendevano i luoghi diversi da come li stavo vedendo, delle parole che mi aprivano a nuove idee e nuove immagini.

Golden Rock, 22 dicembre, i pellegrini che volevano una foto: Siamo in un luogo sacro, frequentato quasi solo da buddhisti che si accampano lì tutto il giorno a non fare praticamente niente, se non ad ammirare la Roccia d’Oro e ad attaccare fogli d’oro sulla sua superficie. Ci sediamo sui gradini sotto la roccia, dove quasi tutti scattano fotografie per immortalare l’oro contro il verde delle montagne. Un ragazzo birmano, di qualche etnia che non distinguiamo, alcuni gradini sotto di noi si sta facendo fare una foto dagli amici. Si sposta un po’. Poi un altro po’. Ci accorgiamo che si sta spostando lentamente per fare sì che anche noi siamo nella foto. Sorridiamo al fotografo. Tutti gli amici iniziano a saltellare entusiasti. Il più coraggioso inizia a salire verso di noi e tutti gli altri gli vanno dietro. In 5 secondi siamo circondati da una decina di ragazzi. Lo dico con onestà, sono così brutti con i denti rovinati e rossi, l’odore incredibile di Betel, i vestiti di una finta marca italiana, Giorenzo, con loghi e scritte giganteschi. Se qualcuno mi taggasse su Facebook dovrei disiscrivermi. Si stringono intorno a noi, ci abbracciano, cambiano posizione e ognuno vuole la foto con il suo cellulare. Qualcuno parla un po’ di inglese e ci chiede da dove veniamo. Ah, Italy! Totti. Sì, Totti. In alto le persone strofinano l’oro sulla roccia e lasciano cadere piccoli fogli colorati.

Bagan, 28 dicembre, il signore che avvolgeva la lacca: Ci fermiamo con la bici davanti a uno negozio che vende lacca. E’ buio, dentro ci sono pochi turisti, nel retrobottega alcuni uomini fumano, altri sono davanti a un piccolo televisore a guardare un vecchio film americano, alcune donne bevono the. Il proprietario del negozio prende i nostri vassoi, si siede per terra e inizia ad avvolgere tutto nella carta. Dietro di lui c’è un grande paravento con l’immagine di Aung Sang Suu Kyi: è giovane, sorride, ha un fiore nei capelli. Il signore ci guarda, ci dice che The Lady è la speranza della Birmania e che è emozionato per le elezioni che ci saranno. Gli chiedo se Suu Kyi potrà vincere e lui mi dice che si sono inventanti una legge per non farla diventare primo ministro: nessun primo ministro può essere sposato con uno straniero e lei è vedova di un inglese. Ha gli occhi pieni di speranza e la voce di un disilluso. Sul paravento è appeso un cartello: “Please, no photos”.

Kalaw, 30 dicembre, la monaca che preparava l’aperitivo: Non è una delle principali attrazioni del posto, ma andiamo al monastero solo perché a Kalaw non c’è molto da fare nell’attesa del trekking. E’ fine giornata, il pavimento su cui dobbiamo camminare è freddo, ci sono vari cani che dormono, la porta è chiusa. Una signora ci vede e ci fa conduce fino a una porta aperta. Entriamo nella pagoda. Sulla destra un monaco fa esercizi spirituali. Una coppia di birmani con un bambino è seduta a terra a pregare. Sulla sinistra ci sono 3 donne che parlano animatamente, una è una monaca con davanti una scodella di riso, cibo e the. Ci invitano a sederci. Appena lo facciamo la monaca riempie alcune ciotole a una signora ce le porta. Non sappiamo bene cosa dobbiamo fare, la monaca ci fa capire che possiamo stare lì con loro tranquillamente, finché ci va. Beviamo il the, stiamo in silenzio un po’, senza fare nulla. Non stiamo meditando, stiamo semplicemente godendo della quiete di fine giornata. La monaca in realtà non smette mai di intrattenere le signore intorno a lei, deve avere tra le mani una storia piuttosto divertente. Sulla sfondo la statua del Buddha nella posizione del loto e la solita incredibile corona di luci colorati, intermittenti e sfarfallanti che sono la cosa meno sacra che ho mai visto in vita mia.

Lago Inle, 1 gennaio, la donna che illuminava il lago: Un uomo e sua moglie sono fermi al porto del lago Inle e offrono trasporti in barca ai turisti. Lui diventa il nostro pilota per due giorni, con le sue battute in inglese stentato, i suoi pisolini mentre ci aspetta e i denti rossi per il betel; lei risponde al telefono, contratta i soldi e organizza tutto. Abbiamo fatto tardi e dobbiamo tornare in albergo, in mezzo al lago. Per qualche soldi in più ci fanno fare anche quest’ultima tratta. Non c’è nessuno nel lago di notte, il silenzio è totale, come il buio. Lui si mette dietro, al motore, lei davanti con una torcia illumina il lago, dove di notte salgono in superficie nuvole di alghe che possono bloccare le barche. Siamo tutti avvolti da coperte, noi guardiamo le stelle così grandi, loro il lago. Lei si volta verso di noi, e con la torcia illumina una casa sulla riva. E’ la nostra casa, dice allegra, è in costruzione, la stiamo ingrandendo. E’ una casa come tante, ma la illumina a lungo, muovendo la torcia per farcela vedere bene. Il marito rallenta un po’ il motore e in tutto quel lago meraviglioso è l’unica cosa che ci chiedono di guardare. Sono orgogliosi di avere una casa che sta diventando più grande. Più avanti finiamo in un banco d’alghe, lei prende un remo e le sposta un po’ alla volta, mentre lui alza il motore e rema per farci uscire da lì.

Lago Inle, 3 gennaio, il ragazzo che aspettava l’autobus: Siamo fermi su una strada che non conosciamo, in mezzo a decine di turisti con in mano il biglietto di un pullman e altrettanti birmani con diversi biglietti. La strada è buia e polverosa, i pullman arrivano, si fermano un paio di minuti, bisogna controllare che abbiano lo stesso nome che c’è sul biglietto e si sale. Accanto a noi c’è un ragazzo birmano, vestito come un occidentale, che ci guarda e sorride. Siete italiani? Sì, ragazzo, capisci l’italiano? Ho avuto un ragazzo italiano. Così, in un posto che dovrebbe essere una fermata di pullman e in realtà è solo una strada, questo ragazzo ci dice una cosa di sè che mi sembra così decontestualizzata.  Si può parlare di omosessualità in Birmania? Se ti sente qualcuno, è un problema per te? Il ragazzo è nel nostro stesso pullman, seduto una fila davanti a noi, si gira spesso, sorride quando dividiamo le cuffie per ascoltare musica, ci traduce quello che dice l’autista e l’improbabile hostess. Quando scendiamo per cenare ci dice che lui studia, è di Yangon, sta girando il paese come turista, il ragazzo era di Roma, gli piacerebbe tanto venire in Italia: he liked me so much. Ci chiede se vogliamo fare colazione insieme quando arriviamo a destinazione. Poi noi arriviamo a destinazione prima di lui e ci dicono di scendere. Ci guardiamo dispiaciuti. E’ l’alba, sorride un’altra volta e poi torna a dormire.

Cose a cui ho pensato a Berlino

§ dicembre 21st, 2012 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , § No Comments

1. Tutte le città cool hanno un clima terribile: sarà anche colpa del periodo che scelgo per andarci, ma per me Berlino è il gelo che ti prende il cervello, passa misteriosamente per le ginocchia (laddove in genere non battono sensazioni) e finisce nei piedi, dove rimane fino al terzo bicchiere di alcool. Ho avuto altrettanto freddo solo attraversando Central Park a gennaio. La cosa però che mi rasserena dei Berlinesi, rispetto ai Newyorkesi, è che almeno si vestono per il clima che hanno, non girano con le gambe nude o i piedi scalzi, e anzi indossano cose punitive o buffe, ma sicuramente caldissime.

2. Si può mangiare (bene) asiatico spendendo poco: di Berlino si dice che sia la più economica delle capitali europee e credo sia vero. Mangiare con poco non significa solo mangiare wurstel (nessuna critica, vedi poi), ma anche cucina asiatica di altissimo livello, vietnamita o thai, e spendere quanto da noi per una pizza e una birra. Ecco, se qualcuno volesse importare a Milano il modello di ristoranti a medio prezzo, con cucina fantasiosa, adatti a persone curiose di piatti del mondo, beh, avrebbe la mia riconoscenza e sarebbe un’altra dimostrazione che Berlino fa tendenza. Il mio stomaco si è invaghito del Transit e del Saigon and More.

 

3 Si può prendere la metro senza blocchi di accesso: a Berlino non ci sono tornelli che limitano l’ingresso all’intricata rete ferroviaria che attraversa la città e funge da trasporto pubblico. Idealmente chiunque può salire e scendere a piacere, con o senza il biglietto. Non so dire quanti se ne approfittino e quanti siano onesti, certo è che ho sempre visto persone comprare i biglietti (non economici!) alle macchinette. Mi ha fatto bella impressione pensare che la città si fidi di abitanti che non la tradiscono, o che sia abitata da gente affidabile che non necessita di controlli.

4. Il freddo cambia il gusto, saggiamente: io non mangio wurstel e non bevo vino speziato, eppure raramente ho provato una sensazione più piacevole di un bicchiere bollente di Gluwein e soprattutto di un currywurst. C’è una poesia greve, solida e intensa in quel pezzo di maiale, affogato nel pomodoro piccante, con cipolle galleggianti e una spruzzata di curry, che contribuisce al calore del proprio corpo, del locale e del cosmo intero.

 

5. Le gru sono parte del panorama: Berlino è la città nuova, delle costruzioni, dell’Europa che ha ancora soldi da spendere, del passato da superare, se non lo si può dimenticare. Sembra strano da dire, ma a Berlino si ammirano e si fotografano i lavori stradali, le gru colorate che svettano nel cielo e si muovo in un gioco di incastri, i macchinari strani che scavano la terra e vi infilano dentro marchingegni da vecchi film di fantascienza. Se non fosse per quel maledetto freddo, sarebbe la città ideale in cui vivere la pensione, con le mani dietro la schiena, a contemplare tale operosità pubblica.

6. L’architettura contemporanea può essere simbolica, utile e bella: in una città da ricostruire, si è avuto il coraggio di lasciare esprimere gli artisti contemporanei, primi tra tutti gli architetti. Dal Museo Ebraico a Postdamer Platz sono le strutture contemporanee a raccontare la storia di ieri in maniera diversa e emozionante. Il mio punto preferito della città è la cupola del Reichstag: l’idea di mettere una copertura “trasparente” a proteggere il Parlamento è geniale. Il fatto di potere ammirare la città dall’alto, con comodo e in modo circolare è utilissimo. Le due scale elicoidali che attraversano la struttura sono talmente giuste che non si riesce a immaginare nessun altra soluzione possibile.

Berlino è così, piena di idee che vorresti avere avuto tu.

 

Una nota privata, ai bordi del Natale

§ dicembre 24th, 2009 § Filed under Varie e eventuali § Tagged , , , , , § No Comments

Anche se non credo, ogni anno vado alla messa di Natale con famiglia e con parenti.

Mi piace il posto in cui andiamo, è la chiesa di un ospizio, è un luogo piccolo, immediato, privo di trucchi, dove le cose restano con il loro nome, anche se è Natale, e il freddo resta freddo, i vecchi restano vecchi, le suore restano coi baffi e sbagliano gli attacchi dei cori. Mi piace perchè so che nella abitudine dei gesti e delle parole finirò per distarmi e vagare. Mi siedo, dico quello che mi dicono di dire, faccio quello che mi fanno fare; so le parole a memoria, mi ricordo il tempo dei gesti, non serve che mi concentri. Cerco i visi degli estranei attorno a me, mi immagino cosa pensino, mi passano davanti agli occhi i frammenti di un anno, poi dell’infanzia, poi di domani, poi modifico con l’immaginazione le cose che sono già accadute e le immagino diverse, le cancello, le distorco, poi guardo i visi dei familiari e provo nostalgia per le cose che non so più dire, mi accuso di un silenzio che voglio continuare ad avere e che mi fa male e bene allo stesso tempo, poi vedo lei che rappresenta tutto quello che non vorrò mai essere, e lui che rappresenta ciò che temo di diventare, e loro, con il loro tradimento e i loro inganni, con il piccolo che ride e che li fa ridere e penso che l’amore è imperfetto e questo è tutto quello che riesco a pensare sull’amore.

Stringo la mano, non do soldi, non mi comunico, a volte intercetto note, mi dedico quest’ora ogni anno in cui non sono nè me, nè amante, nè amico, nè figlio, nè parente, nè ateo, nè credente, sono solo immaginazione senza conseguenze.