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London for One” è una sorta di guida che ho creato per chi si trova a Londra da solo e non vuole rinunciare a godersi la città tra visite, passeggiate e soprattutto ristoranti.
Quando si viaggia in compagnia non è difficile trovare consigli su ristorantini a lume di candela per due, su posti in cui fare baldoria con amici, su ambienti family-friendly.
In città come Londra, però, ci si trova spesso per piacere o per lavoro o per casualità anche da soli. Perché dobbiamo restare in albergo a guardare un po’ di TV o cenare nel primo ristorante dietro l’angolo invece che nel migliore?
Stando a Londra vari mesi per conto mio mi sono accorto che non tutti gli ambienti sono adeguati a una persona da sola e ho iniziato ad appuntarmi quelli in cui mi sono sentito a mio agio a leggere, a mangiare, a camminare, a perdere tempo.
E’ una lista personale, incentrata sulla zona in cui ho vissuto e lavorato, con una particolare attenzione ai ristoranti, che sono spesso la situazione più “imbarazzante” per chi vuole mangiare bene, ma non ha compagnia.
Ho consigliato anche alcuni posti come i musei che sono naturalmente adatti ai viaggiatori solitari, ma li ho selezionati pensando ad altri luoghi a loro vicini e che possono facilmente abbinati, come caffetterie e parchi.
Mi piacerebbe continuare ad arricchire questa guida anche in futuro, raccogliendo anche i consigli di altri viaggiatori.
London For One è su Everplaces, un bellissimo servizio di localizzazione che ho conosciuto grazie all’esimia Tostoini.
Scena tipica delle mie giornata londinesi: vari Italiani intorno a un tavolo, varie quantità di alcol di varia provenienza – dal Pimm’s al prosecco al sidro alla birra al vino – l’occhio acuto e la lingua tagliente nel giudicare gli inglesi che ci circondano. Si parla di persone, trasporti, culture, tempo libero, ristoranti, l’essere giovani, l’essere vecchi, l’umidità, i topi, le zanzare, la vita. Si confrontano città, si cerca il posto giusto in cui stare, almeno per un po’. Questo post è una sfida tra Milano, la città in cui per ora risiedo, e Londra, città in cui ho vissuto per 4 mesi, in cui si prendono punti in categorie completamente casuali, soggettive e arbitrarie, e in quanto tali infallibili. Diffido di chi sceglie le proprie città elettive basandosi sulla ragione.
Tutti nudi, ma non troppo: segna Londra con pudore
La presenza di un qualunque estraneo (se non proprio di un qualunque essere umano) rende l’inglese estremamente cauto e incredibilmente goffo. I contesti in cui si è forzati a stare a contatto con gli altri e in cui non si beve alcol sono dei piccoli grattacapi sociali. Prendiamo lo spogliatoio di una palestra, dove bisogna stare a contatto con estranei discinti e sudati. Sembra che agli italiani appena entrati nello spogliatoio i vestiti esplodano di dosso: le persone fanno infinite camminate nudi salutando a destra e sinistra come sulla Croisette, si pesano come davanti a nostro Signore e con dietro tutti gli altri, si contemplano, si analizzano e perlustrano senza problemi allo specchio, soprattutto fanno amabili chiacchierate in presenza dei rispettivi augelli. Lo spogliatoio inglese al contrario sembra il Cirque du Soleil degli acrobati con l’asciugamano, è la gara a chi mostra meno carne, si indugia molto meno tra le rispettive nudità e tutto viene svolto molto in fretta evitando il più possibile il contatto visivo. Non credo sia una differenza di disinibizione sessuale, piuttosto noi siamo una cultura di narcisismo fisico e quindi sbattiamo in faccia a chiunque l’orgoglio del nostro corpo, mentre per gli inglesi è meglio abbandonare alla svelta un campo minato di corpi e interazioni. Preferisco contemplare i risultati dello sport a casa e avere da condividere un luogo più sereno per timidi, complessati, minoranze.
Le mie prove sul campo: Regent’s Health Club e Get Fit di via Piacenza.
Interessarsi agli estranei: segna Londra, Milano colpisce un palo
Quando si fa turismo a Londra bisognerebbe stare seduti un’ora su una panchina e godere lo spettacolo della varietà di persone che ti passano costantemente sotto gli occhi. Sessi, razze, gusti, stili, atteggiamenti, culture, storie. Stare in mezzo alla gente a Londra è di per sé una ginnastica mentale che richiede di abbandonare i pregiudizi, di limitare le aspettative e di lasciare che ognuno parli per se stesso. C’è molta vitalità in una città in cui non riesci a prevedere le persone con cui dovrai interagire, dal lavoro, agli uffici pubblici, ai vicini al cinema. Un esempio quotidiano: entri in un bar e non sai chi ti servirà, come pronuncerà quello che ti vuole chiedere, quanto rapidamente vi capirete. Tutta questa vitalità porta però anche a molta volatilità: difficile incontrare due volte la stessa persona come in Italia, in cui il bravo barista sa quello che vuoi, ti saluta riconoscendoti, si accorge se per un po’ di tempo non vai. L’incredibile turn over di persone ti fa sentire in un posto sempre diverso e ti apre la mente, ma non può garantire quel calore umano che richiede un po’ di costanza e che alla fine ti dà la sensazione di appartenere.
Le mie prove sul campo: da Carluccio sotto casa ho incontrato persone bellissime, ma mi hanno chiesto mille volte la stessa cosa, mentre il mio barista di via Crema sa che prendo il cappuccino col cacao.
La cultura dà da mangiare: goleada londinese
Londra è letteralmente invasa di manifesti di spettacoli teatrali, film in uscita, album in lancio, mostre attesissime. E le persone ci vanno. Certo, essere in un’economia sana stimola a spendere di più per il tempo libero, ma non è solo una questione di soldi, bensì di mentalità e organizzazione. Prima di tutto riuscire a partecipare a una qualsiasi manifestazione culturale a Londra è molto più facile che a Milano: tutto è acquistabile online, non ci sono processi di ritiro insensati, non ci sono costi nascosti e inspiegabili, non ci sono spettacoli riservati ai ricchi, agli abbonati, agli amici di. Chiunque abbia mai provato ad acquistare un biglietto per la lirica in Italia, ad esempio, sa quanto possa essere frustrante, costoso e senza alcuna certezza del risultato (dopo ore passate a navigare siti non chiari). I teatri londinesi rinnovano gli ambienti, fanno offerte, creano prezzi per tutti, investono in spettacoli classici, in nuove produzioni, in classici tecnologicamente rivisitati. I cinema sbucano ovunque, anche sui tetti, creano simpaticissime serate a tema, ti permettono di mangiare e bere in sala qualsiasi cosa. I musei inglesi sono dei luoghi aperti in cui la gente si mette per terra a disegnare, in cui si possono scattare foto, in cui si possono addirittura toccare gli oggetti. Il successo della cultura non sta solo nella quantità di soldi che girano, ma anche nella capacità di renderla facile, diffusa ed estremamente varia.
Le mie prove sul campo: i posti in piedi da £5 per i BBC Proms, la frustrazione di prendere i biglietti a La Scala.
È tardi! È tardi! Bisogna correre: Milano segna su calcio piazzato
Ammettere di avere tempo è il più grave peccato della società moderna. Non hai troppo da fare? Sei un perdente. Più grande è la città in cui si vive, maggiore è la retorica della scarsità di tempo. Oggi viviamo una tensione tra il numero potenzialmente infinito di opportunità e cose da fare che la tecnologia ci porta a conoscere e ci rende a finta portata di mano, e il numero per sempre fisso di ore che abbiamo a disposizione: da questo contrasto nasce l’ansia di non avere tempo, che a New York diventa addirittura FOMA. Bisogna così ingegnarsi anche per fare sport. A Londra la gente letteralmente corre al lavoro. Tante persone che praticano il running non vanno a correre, si docciano a casa e vanno a lavorare (o viceversa), ma rendono il tragitto da casa al lavoro il loro percorso sportivo. Questo significa che i runner londinesi corrono con grandi zaini pieni del cambio e delle cose per lavorare e all’inizio danno tutti l’impressione di persone che hanno dovuto abbandonare la propria casa in fretta e furia e stanno fuggendo. Ad aggiungere buffezza alla scena i londinesi hanno anche delle bottigliette d’acqua con manico per bere continuamente: si sa che a Londra l’idratazione è un problema… Correre in mezzo al traffico con lo zaino e una bottiglietta in mano è da pazzi, end of the story: preferisco i frettolosi milanesi che trovano ancora il tempo per passare per casa e si inventano percorsi in striminzite aree verdi.
Le mie prove sul campo: Euston Road con i runner nel traffico in una città di parchi, Parco Ravizza con i runner che fanno mille volte lo stesso piccolo percorso.
Mangiare con le stelle: inaspettato gol inglese (Ndr ricordarsi che nessuno batte New York)
In una grande città in cui il tempo scarseggia, non si può sbagliare nulla e certamente non si vuole sbagliare il ristorante o peggio ancora il piatto che si ordina. A Londra tutto è recensito, stellato e commentato: non si scopre mai veramente un ristorante, si nota che molta gente gli sta dando un buon voto. In una città in cui l’offerta è così varia e i ristoranti aprono, si evolvono o chiudono nell’arco di poco tempo questo proliferare di opinioni è utile e stimolante: l’app del TimeOut è un punto di riferimento, TopTable ti chiede una recensione sui ristoranti che hai prenotato online, Foursquare è pieno di utili tips. Nel complesso tutta questa produzione di contenuti invoglia molto a provare nuovi ristoranti e cucine e contribuisce a tenere una città molto viva. Anche a Milano si mangiano bene piatti molto diversi, ma trovo meno immediato scovare le novità e incuriosirmi. Poi certo la voglia di una vita culinaria stellata crea anche delle inaspettate interazioni nei ristoranti. A Londra, proprio dove le relazioni sociali vengono subite e mai provocate, i camerieri sono stranamente socievoli: “complimenti ottima scelta”, “è il mio piatto preferito”, “avete ordinato le cose migliori”. All’inizio pensavo davvero di essere un asso del menu poi ho capito che è la pressione sociale di fare tutto al meglio, come da recensione, a rendere i camerieri così rassicuranti. Forse non è un caso che l’ultima tendenza dei ristoranti londinesi sia il menu di 4 righe, né fisso né alla carte, semplicemente ridotto all’osso. In un posto senza tempo e pieno di opinioni, datemi solo quello che merita veramente e fatemi vivere la migliore esperienza di tutti.
Le mie prove sul campo: a Londra sceglievo dove andare a mangiare mentre camminavo per strada usando l’iPhone, a Milano tendo ad andare sempre nei miei punti di riferimento.
Il pendolarismo fa l’uomo cattivo: sorprendente pareggio.
Degli Inglesi si dice sempre “signora mia, come fanno bene le file loro. Tutti ordinati e rispettosi e che occhiatacce se ti comporti male”. Certo, nei musei, nei bar, alla fermata dell’autobus. Sottoterra invece The Hunger Games. Ho preso metro in tutto il mondo e davvero mai come a Londra ho notato tutti insieme i grandi tabù del passeggero metropolitano: salgono prima che gli altri siano scesi, non si distribuiscono nello spazio, ma si piazzano in mezzo e oltretutto sono inamovibili, nessuno scende mai per agevolare gli altri. Scene che a Milano ancora sollevano indignazione, occhiatacce, commenti ad alta voce e tweet polemici a Londra sono ormai ignorati ed accettati, segno di imbruttimento diffuso. La verità è che in una città così estesa in cui le persone passano letteralmente la vita sui mezzi pubblici e in cui vige una regola ferrea per cui qualsiasi spostamento richiede almeno 45minuti, si diventa più duri e ognuno è un potenziale nemico. Perché non vince Milano? Perché i trasporti pubblici di Londra sono comunque eccezionali. Servizi che mi hanno commosso: l’applicazione per gli spostamenti in metro (TubeMap), la mail del giovedì dei trasporti di Londra con le informazioni relative al weekend, le fermate dell’autobus con indicata la direzione degli autobus e la mappa delle fermate vicine e di tutti i principali collegamenti. Le mie prove sul campo: le spallate date nelle principali stazioni, gli innumerevoli autobus “on diversion”, su cui però non mi sono mai perso.
Ovviamente il bello delle sfide casuali, soggettive e arbitrarie è che uno poi è libero di ignorare il verdetto o aggiungere altre categorie a caso per truccare il risultato. Certo il dubbio mi rimane.
Ringrazio per le chiacchiere, i commenti, i confronti e le cattiverie: Francesca, Richard, Serenella, Mauro, Sara, Matthew, Fabio, Bianca, Matteo, Adelaide, Carmelo, Silvio, Giorgio, Roberta, Federico, Amanda.
Una volta Gianni Clerici, commentando una non memorabile partita di tennis, ha iniziato una delle sue famosi digressioni su tutt’altro argomento. Alla fine del racconto ha ammesso candidamente di non avere idea se questo fosse vero o no, ma che non bisogna mai rovinare una bella storia con la verità.
Ecco, faccio sempre tesoro di tale insegnamento quando qualcuno mi racconta una storia che mi piace: non pretendo che sia tutto vero e mi metto comodo comodo in ascolto.
“Ma tu sai perchè a Londra si festeggia ad agosto un carnevale con musiche e balli caraibici?”
“No”
“Negli anni ’60 a Notting Hill cominciò un periodo di notevole violenza di origine razziale per le strade. Gruppi di neri e gruppi di bianchi misero a ferro e fuoco le strade, segnando moltissimo una zona così pacifica, tranquilla e elegante come Notting Hill. Pare che le immagini dell’epoca siano davvero incredibili per chi le guardi oggi e si immagina le strade in cui successe. Il Carnevale nacque come festa spontanea (all’inizio si teneva addirittura al coperto) e catartica per celebrare la fine di quel periodo, un’occasione per festeggiare tutti insieme la cultura delle popolazioni afro-americane e l’integrazione razziale.”
[Non so quanto questo racconto sia esatto, potrei controllare su Wikipedia, rimango fedele alla regola delle storie che mi piacciono].
A me questo Carnevale di agosto, tra le strette ed eleganti vie di Notting Hill, è sembrato proprio così: un festoso, eccessivo, pacchiano e travolgente momento di integrazione.
Ogni gruppo, con i suoi costumi, i suoi musicisti e ballerini è più un invito a partecipare che non a ammirare.
Persone con la musica nelle vene accanto a goffi o pigri figuranti, fisici scolpiti a stretto contatto con gioiosi corpi debordanti, giovani nel fiore degli anni che cedono il passo a persone che di carnevali ne devono avere visti.

Tutto parte come una vera parata di ballo e sartoria, poi metti insieme tanta bellezza, tanti corpi, tanto ritmo ossessivo, tanto alcol e il ballo diventa sempre più stretto, il movimento più ondoso e la voglia più evidente.
Diciamo che si passa dal “guarda come te la ballo” a “guarda dove te l’appoggio”, che può essere anche “guarda dove me lo metto”, perché l’integrazione è totale e uomini e donne si comportano allo stesso modo.


Intorno turisti, londinesi, inglesi, persone che semplicemente abitano nella zona che iniziano timidi, fanno qualche foto, poi si lanciano nelle danze, seguono il corteo, si disperdono, provano il primo timido appoggio, il secondo è già più deciso, salgono sui tetti, si mascherano, si mettono in posa.

Il tutto bevendo, bevendo, bevendo e mangiando lo stesso cibo di strada che si mangia in tutto il mondo, l’unico verso segno spontaneo e tangibile della globalizzazione: la pannocchia.
Col senno di poi, il grande panico che sembrano avere nel quartiere per il Carnevale mi è sembrato un ottimo distillato di spirito inglese: un modo per organizzare tutto, per lamentarsi di tutto (che gli inglesi siano, a modo loro, degli infiniti e innocui brontoloni, lo sostiene l’antropologa Kate Fox) e creare tanto bel chitchat.
Così la mia vicina di casa che prima mi racconta che il carnevale è bellissimo, poi mi consiglia di fuggire, infine mi confessa che lei e suo marito si sono conosciuti proprio alla parata. La mia storia preferita: pare che nei giorni appena precedenti a Londra cali la microcriminalità per paura di farsi beccare e perdersi il carnevale. L’allarme più buffo: “attenti alla disidratazione”, detto in una città che galleggia sull’acqua ed è annaffiata da pioggia e birra.
In ogni caso i negozi si barricano e prima dell’arrivo della parata l’atmosfera è surreale.

Alla fine di due giorni danzanti e licenziosi, dopo tanto strusciare, bere, arrapare ho visto ragazzi a malapena vestiti salutarsi educatamente con due bacetti sulle guance e tutto questo carnevale mi è sembrato un bellissimo modo per fare tanto rumore quanto devono averne fatto le sommosse urbane, usando altri strumenti e diversi contatti fisici e soprattutto col sorriso sulle labbra.
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