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Elenco di idee che ho cambiato in Iran

§ novembre 12th, 2014 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , , , § 5 Comments

In un bellissimo caravanserraglio divenuto albergo abbiamo trovato un questionario dell’Università di Teheran sui motivi che spingono le persone a visitare e non visitare l’Iran come metà turistica. Accanto a quelli più ovvi come “si sta allentando la tensione con gli USA” oppure “le donne sono obbligate a coprirsi il capo” uno mi ha particolarmente colpito: “penso che viaggiare in Iran mi dia status”.

L’Iran evoca immagini che ti fanno sentire un viaggiatore non banale: meta poco esplorata e civiltà millenaria, rozzi uomini politici e raffinati registi o scrittori, confusa zona del mondo in cui non si capisce mai chi sono i buoni e chi sono i cattivi.

In realtà l’Iran è un paese che prima di tutto mi ha sorpreso, ha preso le mie idee e le ha lentamente cambiate, mi ha dato status senza che me lo meritassi veramente.

 

Non bisogna dare retta agli sconosciuti con la barba nera:

Entravamo nelle moschee con la prudenza di chi non conosce le regole, sapendo solo di doverci togliere le scarpe. Pensavamo di dovere stare muti e contriti e di generare comunque un po’ di sospetto con le nostre facce bianche. Si è avvicinato un signore di mezza età, vestito di scuro, coi baffi e la barba, un classico caratterista musulmano di qualsiasi serie tv. Ci ha chiesto se conoscevamo la Moschea di Yazd e se poteva avere l’onore di spiegarcela. Attorno a noi sono arrivate una decina di persone, tra adulti e bambini: erano la sua famiglia. Ci andava di fare un giro con loro per la città di notte? La moglie della nostra guida era molto elegante, i bambini ridevano di gusto, i ragazzi più grandi volevano fare vedere di sapere parlare bene l’inglese, ma senza correggere i genitori, per rispetto. Ci hanno portati a spasso in una città affasciante e labirintica, tutta costruita col fango, tra torri del vento, vie buie, piazze con giochi arrugginiti e porte da calcio. Quando dovevamo entrare in qualche monumento andava avanti la signora per dire al bigliettaio che noi eravamo loro amici e farci entrare gratis come gli iraniani.

Erano una famiglia metà iraniana e metà irachena, la guerra del golfo li aveva divisi e da allora le giovane generazioni non si erano mai conosciute, fino a quella sera a Yazd, che loro hanno voluto condividere con due italiani, parlando inglese, arabo e Parsi.

Alla fine ci hanno salutato così: “ma voi avete Facebook? Allora possiamo diventare amici?”.

 

Prigione di Alessandro

Prigione di Alessandro

In Iran sono tutti fanatici religiosi

In taxi, nei ristoranti, per strada, in casa varie persone ci hanno chiesto se eravamo religiosi per poterci dire che loro no, non lo erano. Ne ricordo una.

Una signora coi capelli bianchi, verso i 60 anni, elegante. Parlava un bell’inglese perché prima del ’79 aveva amici americani. Aveva una forte passione per la musica e mi ha insegnato il modo in cui gli iraniani schioccano le dita per accompagnare i balli. Eravamo in una casa privata e quindi abbiamo potuto ballare. Io imbarazzato e goffo, lei soddisfatta e sinuosa. Mi ha confessato di quanto le piaccia ballare, ma che ora può farlo solo in casa: anche ai matrimoni uomini e donne festeggiano separati. Mi ha raccontato di quando era giovane e andava al mare in costume, insieme a sua madre, e ora non più. Mi ha detto di essere atea e di quanto sia difficile vivere in un paese che ti proibisce di fare qualcosa che ami in nome di qualcosa a cui non credi. Mi ha confidato che gli Iraniani vivono una vita pubblica che è quella che ci aspettiamo noi Occidentali e il loro Governo, e una vita privata dove bevono alcol, ballano e indossano pantaloni corti. Va tutto bene, purché non si veda fuori e non si pretendano diritti. Nel mio piccolo ho sentito che avevamo in comune più di quanto io e lei ci saremmo aspettati, con la sola differenza che di noi due solo lei sapeva ballare.

 

Le donne musulmane non ti rivolgono la parola:

La tomba del poeta è uno dei luoghi più amati dagli iraniani. Anche chi non abita a Shiraz ti chiede se ci sei già stato e ti invita a farlo il prima possibile. Si tratta di un semplice e bel giardino, con piante, alberi, panchine e al centro una pietra commemorativa di questo poeta edonista.

Dal tramonto centinaia di iraniani si riversano nel giardino a trascorrere la serata, passeggiata, leggendo i versi di Hafez e scattandosi foto improbabili. Tra i giovani il selfie con la tomba va fortissimo.

Siamo rimasti un po’ distanti a guardare questi momenti quotidiani e speciali allo stesso tempo, quando si sono avvicinate due ragazze, molto belle e eleganti e ci hanno, come diremmo noi, abbordato. Ci hanno tempestato di domande (la più frequente domanda in tutto il viaggio è stata “ma cosa si dice da voi degli Iraniani? Pensate che siamo tutti terroristi?”) e ci hanno detto che per loro è una fortuna potere parlare con degli stranieri e esercitare l’inglese. Quando ci hanno invitati ad andare a cena con loro, abbiamo pensato che va bene sfatare i cliché, ma qui si esagera. Non sono passati più di cinque minuti che è arrivata un’altra ragazza con la madre e ci ha chiesto se eravamo francesi. No. Sapevamo parlarlo? No. Avevamo notato qualche francese? Lei voleva tanto esercitare un po’ di conversazione, per caso noi eravamo stati a Parigi?

E siamo passati la sera così, tra persone che si scattavano foto ricordo, giovani che cercavano stranieri per fare lezione in una calda notte estiva.

 

Giardino Botanico a Shiraz

Giardino Botanico a Shiraz

Gli Iraniani sono nemici dell’Occidente:

Una volta una persona mi ha detto che c’è più differenza tra un ventenne inglese e un quarantenne inglese (con buona pace dei quarantenni giovanili) che non tra un ventenne inglese e un ventenne russo.

Diciamo che c’è un periodo nella vita in cui diventa molto importante avere la scritta giusta sulla maglietta, il brand che ti fa sentire figo, il simbolo che ti fa appartenere a un mondo. Non essendo dotati di un verso per segnalare la disponibilità all’accoppiamento, dobbiamo scriverci delle cose addosso e sperare che parlino la lingua corretta. Ecco, se sei un giovane iraniano e intorno a te c’è l’embargo dei prodotti occidentali è un bel problema, ma crea anche le soluzioni più divertenti che ti capita di vedere in giro.

Ho visto un gruppo di ragazzi chic e tecnologicamente evoluti vestiti con il celebre brand: Giorgio Armani, www.giorgio.it, perché è il sito che fa la differenza

Altri, sempre spendaccioni ma con l’anima sportiva, avevano la famosa tuta: Giorgio Armani Adidas oppure Giorgio Armani Nike, perché gli iraniani conoscono il valore della democrazia.

Adidas tra l’altro produce in Iran una linea che non conoscevo, la Saltimbanco, con una scritta che occupa due righe e dice “The only fashion shaoyu design vershion brand for Sports Medicine & Orthopaedics”. Giuro.

Alcuni, più hipster, fanno meno sfoggio dei global brand, ma si giocano frasi accattivanti come il gaudente “Work Hard, Part Harder”, che temo significhi qualcos’altro rispetto a quello che immagino, l’esortativo “Be Shart”, volentieri se mi dici come, o il metafisico “I can’t stop living you”, con accanto tra l’altro l’immagine di una bici.

Ma la più misteriosa di tutte è questa, se qualcuno ha idea di cosa significhi, gli sarò infinitamente grato

 

T-Shirt Fly Vivere a Kashan

T-Shirt Fly Vivere a Kashan

Non posso garantire che chiunque vada in Iran veda le stesse stranezze e vivere le stesse emozioni, ma questo è il percorso che abbiamo fatto noi, con indicazioni di mezzi di trasporto, alberghi e ristoranti.

Un impreciso ma utile itinerario birmano

§ giugno 27th, 2014 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , § No Comments

Tracciare una mappa dei luoghi in cui si è stati è un po’ come rivivere il viaggio.

Creare la mappa della Birmania è un po’ come rivivere il senso di smarrimento del viaggio. Ho provato a cercare hotel in mezzo all’acqua, templi in mezzo ai monti, fermate del pullman in mezzo al nulla: alla fine mi sono dovuto rassegnare a piazzare i marker dove più o meno me li ricordo. E’ comunque molto di più di quello che sapevamo noi quando siamo partiti e quindi spero sia utile.

 

Potrei avere sbagliato di qualche chilometro, ma in Birmania non bisogna avere troppa fretta, o bisogna sperare che gli orologi funziono tutti allo stesso modo.

Orologio birmano

London for One: da soli e godersela

§ marzo 4th, 2014 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , , , § No Comments

London for One” è una sorta di guida che ho creato per chi si trova a Londra da solo e non vuole rinunciare a godersi la città tra visite, passeggiate e soprattutto ristoranti.
Quando si viaggia in compagnia non è difficile trovare consigli su ristorantini a lume di candela per due, su posti in cui fare baldoria con amici, su ambienti family-friendly.
In città come Londra, però, ci si trova spesso per piacere o per lavoro o per casualità anche da soli. Perché dobbiamo restare in albergo a guardare un po’ di TV o cenare nel primo ristorante dietro l’angolo invece che nel migliore?
Stando a Londra vari mesi per conto mio mi sono accorto che non tutti gli ambienti sono adeguati a una persona da sola e ho iniziato ad appuntarmi quelli in cui mi sono sentito a mio agio a leggere, a mangiare, a camminare, a perdere tempo.
E’ una lista personale, incentrata sulla zona in cui ho vissuto e lavorato, con una particolare attenzione ai ristoranti, che sono spesso la situazione più “imbarazzante” per chi vuole mangiare bene, ma non ha compagnia.

Ho consigliato anche alcuni posti come i musei che sono naturalmente adatti ai viaggiatori solitari, ma li ho selezionati pensando ad altri luoghi a loro vicini e che possono facilmente abbinati, come caffetterie e parchi.

Mi piacerebbe continuare ad arricchire questa guida anche in futuro, raccogliendo anche i consigli di altri viaggiatori.

London For One è su Everplaces, un bellissimo servizio di localizzazione che ho conosciuto grazie all’esimia Tostoini.

 

 

Cose che ho fatto per la prima volta in Perù

§ settembre 5th, 2012 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , , , , , , , , , § No Comments

Il Perù è stato il viaggio delle prime volte. Seguendo una personale predilezione per gli elenchi, lo racconterei così:

  • Ho visto nuovi animali: il condor è il cattivo dei racconti di quando siamo bambini, che ci insegnano il bene e il male. In Perù li vedi planare a 4000m, aprire ali enormi e, senza muoverle, scivolare sicuri nel vuoto, sfruttando le correnti. I bambini li salutano e li applaudono. Gli ex bambini cercando di immortalarli mentre passano alle spalle di amanti, amici, parenti. Li abbiamo visti risalendo dal Canyon del Colca, prima del tramonto e all’alba, regali e solitari come solo grandi uccelli necrofagi possono essere.

foto di Mauro Tosca

 

  • Ho camminato per 52km mai al di sotto dei 2000 metri: dicono che il Perù sia il paradiso del trekking e dicono una cosa vera. Alcuni dei posti più incredibili che si possono ammirare sono raggiungibili a piedi. Il Salkantay Trek, che abbiamo fatto sotto la guida di United Mice, è stato una cosa molto faticosa che rifarei domani stesso. Siamo saliti fino a 4600m e da lì siamo andati ancora un po’ più su per vedere una piccola laguna. Abbiamo sentito il suono lontano  e pauroso delle valanghe che cadevano dalle cime intorno a noi. Abbiamo dormito in tenda al gelo, coprendoci con tutto quello che avevamo nello zaino, con un cielo stellato così limpido che ti cadeva addosso. Abbiamo visto la Croce del Sud e abbiamo pensato ad altri viaggi, altre scoperte, altri marinai. Abbiamo fatto merenda con wonton, marmellata, burro, pop corn e infuso di coca. Abbiamo attraversato la foresta con colibrì, pappagalli, fiori tropicali e abbiamo bevuto il mais fermentato. Ci siamo spostati da una riva all’altra con carrelli sospesi nel vuoto, tirati a mano. Ci siamo immersi in un’acqua che aveva la stessa temperatura del corpo e abbiamo pensato al paradiso. Abbiamo camminato lungo la ferrovia che porta vicino a Machu Picchu e ci siamo sentiti adolescenti. Abbiamo vissuto, dormito, mangiato secondo il sole e non ci è parso strano

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho visto bambini in coda per vedere la TV: in un angolo del mercato di San Pedro c’era un televisore con un cartone di Bugs Bunny e tutti i bambini avevano lasciato le loro bancarelle, i loro giochi di strada, il loro girare e stavano a bocca spalancata davanti a questo focolare domestico in un luogo pubblico. Come loro i bambini di Pisac, attaccati alla vetrina di un negozio di alimentari con una TV in bella vista, a ridere e commentare tutti insieme. E pensare che la TV sarebbe diventata sociale grazie a internet…

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho ricevuto richieste di rating su Tripadvisor, anche nei luoghi più sperduti: forse è dovuto al turismo americano così presente in Perù, ma tutti i ristoranti e gli alberghi che dispongono di un buon rating lo mostrano con orgoglio e nessuno si imbarazza a chiedere apertamente una recensione ai clienti. Uno chef di Cusco ci ha raccontato dell’attenzione bellicosa dei ristoratori per questo strumento, che muove clienti alto spendenti. Di proprietari che mettono recensioni negative ai concorrenti, per abbassarne anche solo momentaneamente la media. Della mancanza di controllo che chi abbia lasciato la recensione sia effettivamente stato in quel posto. Dei controlli ossessivi ogni mattina sulla posizione nel ranking.  Poi nasce la domanda: si sta affermando un nuovo turismo omologato basato sulla media dei viaggiatori precedenti? E’ la soluzione migliore? Come prima i francesi andavano nei posti consigliati dalla Routard e gli altri in quelli della Lonely, così ora i possessori di smartphone vanno nei primi 20 di Tripadvisor? Ma chi si prenderà la briga di andare nei posti non recensiti? E chi vivrà un’esperienza che gli altri non hanno già fatto?

 

  • Ho parlato con un taxista che era anche una guida turistica e un gourmet: la Lonely dedica tante pagine alla Valle Sacra quanto ai pericoli del Perù. Ammirerete rovine Inka, vi deruberanno e i taxisti vi trufferanno. In realtà noi abbiamo conosciuto persone molto amichevoli, incuriosite dall’Italia (il calcio ha il potere taumaturgico di distogliere dalle domande su Berlusconi) e con una particolare fissa per Venezia (sospetto che da qualche parte una TV con un programma su Venezia ha raccolto attorno a sè molte persone). Capire o non capire lo spagnolo non frena i taxisti dal parlare del loro paese. A Lima abbiamo incontrato al volante di un’auto sgangherata un Tripadvisor portatile e interrogabile a piacere. Ci ha raccontato della nuova ondata di buona cucina e bei ristoranti che sta invadendo il paese. Dello chef Gaston Acurio, amatissimo, popolarissimo, onnipresente. Dei limani, che tutti i weekend mangiano fuori. Della cucina peruviana, che è per sua natura fusion, di quella chifa (innesti cantonesi nelle ricette sudamericane), degli spiedini di cuore venduti per strada, con una donna di colore che indossa il grembiule e inizia a sfamare turisti e cittadini in fila. Di tutti i ristoranti più celebri, con un giudizio su menu, servizio, locale, prezzo. Del Pescados Capitales, davanti a cui ci ha lasciato, benedicendo la nostra scelta, e che è uno dei posti migliori in cui abbia mai mangiato all’estero

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho fatto un corso di cucina all’estero: data questa nouvelle vague culinaria peruviana, ci siamo lanciati in una cooking class, ovviamente scelta su Tripadvisor. Una bellissima esperienza culinaria, culturale e umana. Delle ricette di Erick, proprietario del Marcelo Batata, parlerò su Cantarelle, ma la visita al mercato di Wanchaq completamente privo di turisti, dove grasse signore col cappello a cilindro ci hanno fatto assaggiare mille varietà di frutta; la spiegazione dei più gustosi o buffi prodotti della terra peruviana; i bicchieri di pisco che ci siamo scolati durante le ore di corso; l’emozione di cuocere le nostre creazioni nella cucina di un ristorante a pieno regime, sono esperienze che consiglio a tutti, a prescindere dalla voglia di imparare a cucinare

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho visto Saturno: a Cusco, che è probabilmente la città più bella e divertente in cui sia mai stato fuori dall’Europa, ci siamo fatti tentare dalle mille possibilità di svago che esistono anche a 3.300m. Abbiamo visitato un buffo planetario, gestito da una giovane coppia, che con mezzi un po’ artigianali e molto brio ci ha spiegato le conoscenze astronomiche degli Inca, il ruolo delle stelle nelle loro vite e ci hanno mostrato l’altra metà del cielo. L’enorme forma dello Scorpione. La “vicinissima” Alfa Centauri. E gli anelli di Saturno, che sono incredibilmente proprio come li disegniamo da bambini

 

  • Ho fatto scelte di turismo responsabile: quando ho potuto, ho contattato organizzazioni e progetti che tutelassero i lavoratori locali e sostenessero progetti umanitari. Ecco perché per il Salkantay Trek ci siamo affidati a Perù Etico, dove Paola, una ragazza italiana, segue progetti per i bambini di strada e le donne che subiscono violenze. Abbiamo pagato una quota associativa di 20dollari a testa e le abbiamo affidato, con grande soddisfazione, l’organizzazione del trekking. La Piccola Locanda, l’hotel in cui hanno sede, è tra l’altro un posto molto piacevole e accogliente. Noi per dormire a Cusco abbiamo scelto il Ninos Hotel, progetto alberghiero di una signora olandese che con i suoi proventi aiuta i bambini di strada garantendo loro un’educazione

 

foto di Mauro Tosca

  • Ho aspettato che i mezzi di trasporto fossero pieni per partire: la prima volta ci è successa con il minivan da Cusco a Pisac. Siamo saliti, l’autista ci ha contati e ha visto che rimanevano 3 posti, o meglio 3 spazi fisici per altre persone. Ha spento l’auto ed è andato in strada a raccattare altri passeggeri. Solo quando il minivan era al completo, siamo partiti, con sottofondo di musica latina offerto dalla “radio diferente para gente inteligente“. La seconda volta, a Colcamayo, è stato uno di quei viaggi che fanno il viaggio. Siamo partiti in 4  con destinatione Hidro. Finalmente un bel viaggio comodo, un pullmino da almeno 10 posti, l’ideale dopo le terme. Poi arriviamo a Santa Teresa e iniziamo a girare cercando qualcosa, facciamo allegramente il giro di una piazza contromano, ci fermiamo davanti a una casa dove l’autista scende e citofona. Risale e finalmente abbiamo una direzione: un altro pullmino, con dentro 2 passeggeri, su cui ci invitano a salire. I due autisti si mettono d’accordo, noi paghiamo il primo (ci possiamo fidare o ci inganneranno? Alla fine la risposta giusta è stata sempre la prima), pronti, via. Per modo di dire. Il secondo pullmino inizia il giro del paese (in realtà i 2 passeggeri ci avvertono che loro sono già lì da mezz’ora…), con un bambino affacciato al finestrino a gridare “Hidro! Hidro!”. Alla fine raccattiamo una varia umanità, ma niente, non siamo ancora pieni. Non ci resta che dedicarci al trasporto merci. Ci fermiamo davanti a un negozio e carichiamo acqua, coca-cola, frutta e confezioni di Inka Cola. Durante uno di questi spostamenti collettivi abbiamo incontrato 4 americani imbufaliti perché il mezzo aveva 45minuti di ritardo e protestavano al grido “people have plans, people have agendas”. Come ogni anno, la mia agenda l’avevo lasciata a casa.

 

  • Ho visto Machu Picchu: sì, è una delle meraviglie del mondo “moderno” e non ho nient’altro da dichiarare

Su Flickr ho pubblicato un set delle foto di viaggio.

Su Google Maps, l’itinerario e informazioni pratiche di viaggio.


View Perù 2012 in a larger map

Elenco di cose imparate alle Faroe

§ agosto 30th, 2011 § Filed under Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , § 16 Comments

[Disclaimer: la passione per gli elenchi mi è venuta leggendo tempo fa il bellissimo libro di Erland Loe “Naif.Super” e mi sembra il caso di rispolverarla in seguito a un viaggio in alcuni paesi Scandinavi. In realtà ho scoperto sull’ottima free press islandese “The Reykjavik Grapevine” che c’è tutto un dibattito in corso se Islanda e Fær Øer facciano o no parte della Scandinavia, con un simpatico elenco di supporti e negazioni che sono certo piacerebbe a Loe].

Onestamente non avevo una chiara idea di dove e cosa fossero le Isole Faroe: possedevo solo un ricordo dall’atlante che me le metteva bene a nord e bene in mezzo a niente, e una recente notorietà per una partita di calcio.

Come a volte succede negli incontri fortunati con gli estranei, mi hanno sedotto e insegnato alcune cose che vorrei conservare:

  • Bisogna sapere cambiare idea per scoprire qualcosa di nuovo

Ci siamo trovati al porto di Klaksvik con qualche ora di attesa per prendere un traghetto e abbiamo chiesto informazioni per visitare Mykines il giorno dopo. Alle Faroe, dove il concetto di isola viene inteso nella sua purezza, ogni ufficio informazioni pare conoscere solo la propria zona e vive l’isolotto accanto come una meta esotica. Le varie chiamate ci hanno portato a scoprire che esistono solo due barche per andare e due per tornare, che non c’era più alcun posto per l’indomani, e che in giornata c’erano posti solo per andare, ma non per tornare. Poche cose accendono il desiderio quanto la scarsità e l’impedimento, per cui abbiamo capito che volevamo assolutamente andare a Mykines. Altro giro di chiamate e abbiamo scoperto che non era più possibile nemmeno dormire sull’isola, a meno che, ci informa la gentile signorina, non siamo disposti ad alloggiare in una unfinished house (sic) di un suo conoscente. Scusi, possiamo richiamarla tra qualche minuto? In quei minuti cinque persone si sono messe a disegnare sul cruscotto dell’auto uno scenario di unfinishness per capire se andare o no: il tetto è importante, il bagno pure, i materassi già meno, il resto non conta. Ci risponde che roof yes, wc yes, mattress on the floor. Allora cambiamo programma, rimandiamo il traghetto, rinunciamo alla notte già pagata, torniamo sui nostri passi, rifacciamo lo zaino, ci imbarchiamo da un diverso porto e scopriamo un’isola meravigliosa, con le nuvole che finalmente si aprono e il sole che ci mostra il mare, le rocce, i prati, gli animali, il faro, l’orizzonte.

  

  • A volte basta voltare angolo per trovare ciò che si cerca

A Mykines per imboccare la strada verso il faro occorre fare subito una grande salita, di quelle che sogni da piccolo con la neve se hai un bob o anche solo un sacchetto della spazzatura. Una volta messo in chiaro che per arrivare in fondo occorre sgobbare, si alternano tratti pianeggianti, scale e rocce a strapiombo sul nulla. Proprio ammirando il mare che batte la pietra che gli resiste, abbiamo avvistato le prime pulcinelle di mare, piccole e un po’ nascoste: è un’emozione inaspettata quando ti trovi davanti una nuova forma di vita per la prima volta e ti rendi conto di quanto noi siamo solo un esempio (ingombrante) di una varietà infinita. [Questo discorso non vale per tutta la varietà di blatte milanesi che non sono curioso di incontrare dal vivo]. Iniziamo a scrutarli da lontano, i fotografi si passano il tele, gli altri dicono che belli che sono, sommando l’immagine un po’ distante del presente alle fotografie viste prima di partire e si resta così, con i piedi ancorati all’erba e la faccia nel vuoto, a pensare ecco oggi è il giorno in cui ho visto una pulcinella di mare. Poi si cammina ancora un po’ e si volta un angolo. Lì, in un prato verdissimo, con una leggera pendenza come un trampolino appena usato, ci sono centinaia di pulcinelle che planano, atterrano, si guardano in giro. Gli cammini accanto, ti fermi tutto il tempo che vuoi e pensi ecco oggi è il giorno in cui ho camminato in mezzo a centinaia di animali che fino a ieri non avevo mai visto e che in realtà non si stavano nascondendo, si erano solo accomodati da un’altra parte.

  

  • Essere disposti a non avere il controllo aiuta a rilassarsi

Ormai ho imparato a giocare a tetris con il tempo. Posso segnarmi gli appuntamenti sulla posta elettronica e accedervi ovunque, posso farmi avvertire delle scadenze e di quello che devo fare, posso incastrare in un foglio online gli impegni miei e dei miei amici. Finisco per pensare che il tempo sia mio più di quanto sia viceversa. Poi arrivo alle Faroe e scopro che forse atterreremo, oppure no, e la cosa non è così improbabile e in tal caso andremo via nell’aeroporto più vicino, che non è nemmeno quello da cui siamo partiti, ma è in Scozia o in Norvegia: in cabina di pilotaggio fanno pari o dispari? Poi arrivo a Mykines e scopro che oggi la nave è riuscita ad attraccare, ma forse domani no, forse si resta lì, per un po’ di ore, per un giorno, per più giorni: tu lo sai dire quanto ci mette il mare a piegarsi ai nostri desideri? Devi sapere aspettare che si riparta e non prendere troppi impegni. Alla fine quando si arriva nell’unico “ristorante” e si chiede una cena per cinque e in tutta risposta la proprietaria, cuoca e cameriera apre il frigo e controlla quanti hamburger ha, non ti sorprendi nemmeno tanto e pensi che chi ha detto che volere è potere era probabilmente più un capriccioso che un saggio.

  

  • Dare fiducia degli estranei e ai marinai ti porterà lontano

Arrivi in aeroporto e cerchi la persona che immagini dovrà darti le chiavi dell’auto, ti chiama e passo a passo ti guida fuori dall’aeroporto, verso il parcheggio, verso una fila precisa, verso un’auto e dice ecco, aprila, le chiavi sono dentro, buona vacanza. Del resto, quando riconsegni l’auto, una esile ragazza ti chiede quante volte hai attraversato i tunnel a pagamento, tu rifletti, dici la cifra e lei dice quanto devi pagare: la soddisfazione non è risparmiare dei soldi, ma capire che la regola è fidarsi degli estranei. Ecco perché impari a entrare nelle case dove vedi la porta aperta per chiedere dove inizia il sentiero, o quando si avvicina un vecchio marinaio dagli occhi ancora vispi e che dell’Italia conosce Civitavecchia, gli dici marinaio, tu adesso dove andresti con questo sole splendido? E ti dirigi dove va lui a vedere il tramonto e resteresti lì per ore, ma tanto il sole sembra d’accordo, perché si sdraia incollato all’orizzonte finché gli va. Il marinaio lo aveva detto con orgoglio che quello era il suo posto preferito e che ha girato tanto ma sempre lì torna. La guida invece non diceva niente.

  

  • E se la morte può fare un po’ meno paura, allora davvero non so

Non so se mi angoscia di più la morte o i cimiteri, diciamo che già mi costa fatica scrivere entrambe le parole. Ogni volta che qui trovi un paese noti che le case si sparpagliano liberamente, come coriandoli gettati su un prato. Nessuna però si merita l’ultimo posto, quello più in basso, quello con la vista mare ininterrotta. Lì c’è la chiesa, ma anzi no, nemmeno la chiesa è l’ultima, perché dopo la chiesa c’è il cimitero ed è quello il punto più bello, accanto a cui ti viene voglia di sostare. Sarà anche che le croci sono sparpagliate come le case, come se ognuno volesse godere di una propria vista personale, anche a costo di stare un po’ storto. Non posso dire che sarei felice dell’idea di essere seppellito qui, perché sono un codardo che crede di non temere solo la vita eterna, ma penso che, se fossi seppellito qui, chi c’è ancora sarebbe meno triste a fermarsi e a passare un po’ di tempo accanto a me.

  

Per chi volesse una descrizione più dettagliata del viaggio, con spostamenti, passeggiate, nomi delle isole e dei luoghi che abbiamo visto, ho condiviso una mappa su GoogleMaps.


View Milano – Berlino – Copenaghen – Isole Faroe in a larger map

 

Quasi tutte le foto sono di Ishmael78

Cose che ho imparato a New York

§ giugno 3rd, 2011 § Filed under Varie e eventuali, Viaggi § Tagged , , , , , , , , , § 1 Comment

New York è la città che ti sembra di avere già visto la prima volta in cui ci vai e che poi ti sembra sempre diversa ogni volta che ci torni. Questa volta la città mi ha insegnato l’importanza dello stare seduti, del gestire la FOMA, dell’osservare le facce, del fermare gli attimi, del non sottovalutare la quaglia.

 

Dello stare seduti: NY ti trasmette il senso dello spazio pubblico che è di tutti e di ciascuno e la possibilità di vivere la città, non solo nella città, ma proprio la città. Credo abbiano una tacita legge per cui è proibito costruito qualsiasi cosa senza dare la possibilità alle persone di interpretare il modo di usufruirne. Le file interminabili di panchine a Central Park, i tavolini con la scacchiera a Washington Square, le sedie vista fiume dell’Hudson Park, le strutture di ferro del Chelsea Market e soprattutto l’High Line. Cari cittadini, abbiamo un binario sopraelevato che non ci serve più, che ne facciamo? Si mantengono i binari, si aggiungono sedie, panchine, addirittura sdraio, si allestiscono spazi dedicati all’arte (come l’allestimento dei suoni di tutte le campane di NY), si crea addirittura un belvedere con una grande vetrata affacciata su un pezzo di strada: NY si lascia ammirare distrattamente. Cammini e vedi signori anziani sulla sedia a rotelle che prendono il sole, coppie di uomini che si sdraiano e si guardano un film sul mac, modelli vestiti da teschi che si fanno fotografare, ragazzi che girano un film. Ti inventi qualcosa da fare pur di esserci e stare non per forza con gli altri, ma in mezzo a loro.

High line con scheletro

 

 

Del gestire la FOMA: la mia guida speciale ai segreti della città (di cui si parlerà dopo, nell’atteso paragrafo sulla quaglia) mi ha spiegato che gli abitanti di NY soffrono di FOMA, ovvero the Fear Of Missing Out, che, sempre secondo la mia guida, è una sorta di Ballo di San Vito metropolitano. A dire il vero mi hanno raccontato anche che i newyorkesi sembrano avere tutti il problema dello sperma lento, ma insomma, questa è un’altra storia. La FOMA nasce dall’infinità di esperienze che la città ti offre e dal senso del limite di non potere fare tutto, di perdere così quel pezzo fondamentale che la settimana successiva sarà sulla bocca dei colleghi, nel brusio dei ristoranti, negli approfondimenti delle pagine dei quotidiani. Da qui nasce il dilemma: il weekend è dedicato al riposo o a recuperare tutto quello che non si è fatto in precedenza? Se ti fai la domanda hai già la FOMA. Se non te la fai, non abiti a NY. Ed è subito lunedì.

Poi certo a New York ti trovi, tu che ignori orgogliosamente la moda, a girare stupito e spaventato davanti ai vestiti di Alexander McQueen, a capire che anche uno stilista può essere un’espressione artistica del Romanticismo e a desiderare di essere lasciato e dimenticato in una sala con i vestiti bianchi e rossi dedicati alla scozia e la musica di Handel. E pensi che un po’ di FOMA saresti disposto anche ad averla, ma per favore niente sperma lento.

Senza nome

 

Dell’osservare le facce (e non solo): quando la notte chiudi gli occhi ti rendi conto di essere stanco non solo per avere camminato chilometri di strade, scale, musei, ma anche per avere fissato tutte le facce delle persone che hai incontrato. Non è solo il fatto che vedi mille individui diversi per colore, look, atteggiamento, ma è il modo apparentemente casuale con cui si associano tra di loro. Mi sono sorpreso ogni giorno a fissare genitori e figli che parevano calzini spaiati, tanto è vero che spesso mi chiedevo se non fossero in realtà frotte di baby sitter di tutte le età. Se guardo i miei amici, mi sembra di potere tirare una linea lungo tutte le cose che hanno in comune; se chiudo gli occhi vedo due donne camminare sulla Broadway e non c’è nessuna linea a me nota. Una è vestita con un tailleur e pantaloni, una ventiquattrore, e potrebbe essere appena uscita da un ufficio finanziario o dallo studio di Patty Hewes; accanto a lei cammina una donna minuta, capelli cortissimi, potrebbe essere lesbica, con zainetto su una spalla sola e vecchie converse; parlano tra di loro, ridono, si fermano a un semaforo e si battono il cinque. Non ho abbastanza fantasia per immaginarmi perché, ma me lo chiedo.

Coppia geek con vino

 

 

Del fermare gli attimi: ho vagato per NY inseguendo le foto di Sionfullana su Instagram. Ho quasi esultato quando ha caricato una foto di un posto in cui c’ero anch’io. Guardatele, io lo trovo bravissimo: utilizza solo l’iphone e alcune applicazioni per lavorare le immagini. Questo paragrafo è in realtà una scusa per scrivere da qualche parte che mi piace, anche perché ho impiegato mesi per memorizzare il suo nome.

 

Del non sottovalutare la quaglia: anche questo paragrafo è un po’ una scusa per ringraziare la mia Zagat ambulante e dialogante che mi ha portato in giro per la gastronomia della città. Oltre alla mappa di tutti i luoghi in cui abbiamo mangiato, merita una segnalazione il Fatty Crab. Già il nome ci fa simpatia. Poi è un malesiano fusion e siamo curiosi. Poi ti portano lattine di birra che sembrano succo di maiale e siamo già rapiti. Arriva l’antipasto e sono 4 uova di quaglia aperte e riempite di “cose” in una scala dal dolce al piccante: non c’è un solo sapore che assomigli al precedente e finisci con le lacrime agli occhi di dolore culinario. E non ci lasceremo mai. Di seguito condivido la mappa dei posti di NY in cui sono stato a mangiare. Prima però vi dico una cosa sulla quaglia: succede nella vita di questo uccello che un signore si avvicini per accarezzarlo, facendolo sentire a suo agio e rilassandolo ben bene, e solo allora, quando non c’è nessuna tensione, lo ammazza per evitare che la sua carne si indurisca e il nostro gusto ne risenta.

Tutto sommato è meglio la FOMA.


View Vivere e mangiare fuori a NY in a larger map

 

 

Oltre quattromilachilometri

§ gennaio 17th, 2011 § Filed under Varie e eventuali, Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , § 3 Comments

Di Marsiglia la luce, della Camargue il vento, di Girona la pietra, di Barcellona il ferro, della Mancha il vuoto, di Granada l’allegria, di Cordoba il profumo.
Più che raccontare con un post il viaggio che ho fatto, ho pensato di mostrarlo con una mappa, perchè una strada di oltre 4.000 km è già un racconto di per sè.


Visualizza Milano – Camogli – Marsiglia – Barcellona – Granada – Cordoba – Girona – Camogli – Milano in una mappa di dimensioni maggiori