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Elenco di idee che ho cambiato da quando corro

§ febbraio 2nd, 2016 § Filed under Apps, Varie e eventuali § Tagged , , , , , § No Comments

Pochi sport ti cambiano la vita quanto la corsa.

Da un anno esatto ho iniziato a correre seriamente: ho percorso più di 1000km in 85 ore, ho corso 2 mezze maratone, una 30km e 1 maratona, e ho cambiato a poco a poco il mio approccio al tempo, al meteo, ai viaggi, alla tecnologia e agli estranei.

Prima di tutto correre seriamente significa allenarsi a correre. Per anni, e tra alti e bassi e periodi di stop intendo almeno 15 anni, ho corso a caso sempre la stessa corsa: mi davo un’ora di tempo e andavo alla velocità che conoscevo e che mi faceva sentire tranquillo. Un giorno ho visto appesa sulla porta di Simone una scheda di allenamento con una combinazione metodica di ritmi e distanze che non avevo mai corso, ma ho pensato che per me era impossibile, io non sarei riuscito a correre così. A Natale Mauro mi ha regalato un programma di corsa da un preparatore (o più poeticamente mi ha regalato un obiettivo da inseguire), ho fatto una visita per conoscere il mio livello di preparazione, sono stato sgridato per le mie scarpe, perché possono anche non essere rotte, ma dopo i 2 anni e dopo i 1000km le scarpe non ti proteggono più, e sono uscito con un piano per fare una maratona nella primavera del 2016. Soprattutto ho capito che allenarsi significa provare ogni volta qualcosa che il tuo corpo e la tua mente non conoscono già: può essere una distanza, una velocità, una variazione, una pendenza.

Mi sono allenato in questo modo dall’1 febbraio tre volte a settimana e il 15 novembre, prima del previsto, ho corso la prima maratona a Valencia. Non ho saltato nemmeno una corsa, ho tutt’ora un’unghia nera e ho imparato che:

 

_ Il tempo per le cose che facciamo da soli non esiste, dobbiamo crearcelo: non esiste il tempo per la lettura, così come non c’è quello per la corsa. Non avere tempo per qualcosa è spesso una scusa, il tempo esiste togliendolo ad altro. Mi sono alzato prima – so che questo a me viene facile e ad altri no, ma anche questo è tempo – mi è capitato di rinunciare ad aperitivi e uscite varie perché era il giorno di allenamento, ho preso treni a orari che mi permettevano di mettere le scarpe appena arrivato a casa e andare al parco. Mi sembra di non avere sacrificato quasi nulla, non ho più sonno di quanto ne avessi un anno fa, ho trovato 85 ore senza capire veramente da dove le ho prese, forse erano già lì, ma io non le vedevo.

 

_ Il giorno in cui avrai voglia di correre sotto la pioggia non verrà mai, quindi è inutile aspettarlo. Non bisogna decidere se andare a correre o no in base al meteo, è quasi sempre possibile farlo se si è motivati. Il giorno in cui ho iniziato il programma di corsa diluviava, sono rimasto in cucina a guardare fuori dalla finestra, ho controllato Accuweather per capire quanto sarebbe durata la pioggia: sempre. Ho mandato un messaggio a Simone per capire se lui avrebbe corso e mi ha risposto “sono già andato, ora faccio colazione”: esagerato. Ho detto a Mauro, che era sotto le coperte, che non avevo voglia di iniziare, lui ha detto “se non lo fai subito, non lo vorrai fare più”, poi si è voltato, coprendosi con la coperta fino alla punta del naso: saggio e crudele. Sono uscito, ho pensato che ero folle, ho pensato di non farcela, ho pensato ce la faccio, ho pensato sono un eroe, ho pensato perché non c’è gente ad applaudirmi? Basta avere un giacchetto impermeabile e una visiera per ripararsi gli occhi. D’estate, quando fa troppo caldo, è meglio correre di mattina presto. D’inverno è più caldo la sera, ma a me non piace correre al buio, quindi guanti sottili, berretta e fascia per la gola.

 

_Il tempo per correre si trova anche perché è bello andare a correre praticamente ovunque. Se devi correre tutte le settimane, weekend inclusi, puoi decidere di rinunciare ai viaggi (risposta sbagliata), puoi decidere di saltare la corsa quando parti (ma perché?), oppure puoi correre in tutti i posti nel mondo in cui vai. Ho così scoperto che è un modo per attraversare luoghi in cui non andresti, legando ai viaggi delle immagini assolutamente nuove. Ho corso a Santa Margherita nascondendo il cambio sotto il telo blu di una barca in spiaggia, a Rimini guardando persone giocare a beach e a tennis in spiaggia, a Londra superando oche, scoiattoli, pavoni e i sosia di William e Kate, a Porto dove la foce del Taro diventa l’oceano Atlantico ed è il posto più bello in cui abbia corso, a Monaco di Baviera, dove si superano i tedeschi che bevono birra, i turchi che grigliano e i nudisti che prendono il sole, nel sud del Marocco, dove da una parte hai i bambini che ti salutano e dall’altra le dune del deserto, a Venezia a Carnevale dove ho rovinato decine di foto di maschere in posa. Ora quando scelgo un albergo, penso anche a quanto sia facile correre da lì: lavorassi nel turismo, ci farei un pensiero.

Rimini, lungomare Inverno, mattina, Porto Scarpe da running Deserto, Marocco

_La corsa è forse lo sport più istintivo e essenziale del mondo, in fondo c’è chi ha vinto le Olimpiadi a piedi nudi. D’altro canto, a meno che non si segua qualche filosofia particolarmente punitiva, tutta la tecnologia aiuta a correre meglio. Le scarpe le prendo dove mi fanno fare una prova su strada e mi indicano il modello per la mia corsa, dopo di che le compro anche se “brutte”. Il cardiofrequenzimetro è indispensabile per seguire un allenamento e l’esperienza mi insegna che non ha davvero senso prendere il modello basico: prima o poi vorrete sapere tutto quello che un buon cardio può dirvi.

Il mondo delle app: la mia esperienza è che fanno quasi tutte lo stesso lavoro e che la versione gratis fa già tutto il lavoro che ti serve. L’unica che fa qualcosa di diversamente utile è Strava, che ti consente di vedere i percorsi che hanno fatto gli altri runner e non solo i tuoi amici, che non reputo runner migliori degli estranei. È davvero utile quando sei in una città che non conosci e ti chiedi dove andare a correre. La tecnologia serve poi anche a darti la colonna delle corse, perché sì, è vero che si entra in un flusso di pensieri benefici, è vero che è bello ascoltare il proprio respiro, ma insomma io mi alleno con le cuffie e Spotify premium è il mio migliore amico. Ho le compilation per le diverse corse, posso metterci tutta la musica mainstream che voglio, la ascolto offline quando sono all’estero.

Quando inizio un’attività, un hobby, uno sport, mi chiedo quale tecnologia possa aiutarmi, provo quello che esiste gratis, scelgo ciò che si differenzia su un bisogno imprevisto (correre nei luoghi che non conosco), pago per bisogni evoluti (la musica offline), se i prodotti sono a pagamento mi interessa solo l’opinione di chi fa la mia stessa attività (vedi scarpe e cardio).

 

_Gli estranei sono le persone che ho davvero conosciuto in un anno di allenamenti e gare. C’è una sorta di solidarietà in chi si sveglia al mattino presto, i runner si fanno cenni col capo, i proprietari dei cani si spostano solerti, i baristi smettono di innaffiare il marciapiedi: una famiglia cortese e distaccata dagli occhi cisposi. Più si va avanti nella giornata più passa la capacità di essere gentili: quando corri dopo l’orario di lavoro non si sposta più nessuno e sei fortunato se non finisci segato da un guinzaglio dei cani o gettato in un fosso da inseparabili ragazze a braccetto.

A forza di correre nel mondo mi sono reso conto che non tutti gli sconosciuti sono uguali: potrebbe essere una questione di carattere nazionale o di cultura del running, ma per me è stato ben diverso correre per strada a Milano e a Valencia.

Milano, 6 di mattina di un giorno autunnale, un gruppo di valorosi runner corre per le strade del centro di Milano a sostegno della LILT, palloncini colorati, un percorso bello e semplice, con la voglia anche di vivere in modo diverso la città. Per 2 volte, ripeto per 2 volte, ho sentito una persona gridare al gruppetto “ma andate a lavorare, va!”. Alle 6 del mattina.

A Valencia, dove si corre una maratona di una bellezza straordinaria, ho notato nel principale parco cittadino i cartelli “Ciudad del Running” che ti fanno sentire esistente, riconosciuto e nel posto giusto. Non sono mai solo questioni di marketing (e non ci sarebbe nulla di male), sono anche decisioni che cambiano la cultura del posto. Quando decine di persone che non hai mai visto e mai rivedrai gridano il tuo nome un po’ storpiato (segnato sul pettorale, ciudad del running, non dei veggenti), ti applaudono, ti battono il cinque e soprattutto non fanno altro che gridarti ¡ÁNIMO! ¡ÁNIMO!, allora sei allo stesso tempo sorpreso, lusingato, emozionato, commosso, umanamente dopato.

Valencia, Ciudad del Running

Questa idea di interessarsi a qualcosa che sta facendo un perfetto sconosciuto, di stare in piedi ore per dirgli “ce la farai anche tu”, di applaudire per strada chi non conosci è forse la cosa più bella che ho imparato e ne è valsa la pena di svegliarsi presto sempre e ovunque, se poi durante la corsa c’era il sorriso di un estraneo.

 

Il post in cui faccio lo spin-off come Joey

§ febbraio 21st, 2012 § Filed under Varie e eventuali § Tagged , , , , § No Comments

Spero però che mi vada meglio del povero signor Tribbiani.

Ho creato un fratello grasso di questo blog, un posto in cui racconto quello che provo a cucinare, che mi dà soddisfazione da mangiare e che qualcuno è disposto a fotografare. Si chiama Cantarelle, da un suggerimento di Tostoini: “serve un nome dialettale di qualcosa da mangiare della tua zona che non suoni Suor Germana e che ti piaccia”.

Attenzione, sarà un blog ad alto tasso di carboidrati.

Qui si va avanti (ogni tanto) a parlare di giochi, comunicazione e un po’ di viaggi.

(Tren)Italia coast to coast

§ novembre 2nd, 2011 § Filed under Varie e eventuali, Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , , , , § No Comments

Di come la curiosità, l’ostinazione e la fortuna alla fine portino il viaggiatore a destinazione.

Mettiamo il caso che uno voglia andare in treno da Rimini a Genova, anzi per l’esattezza a Camogli, per dare un colpo all’Adriatico e uno al Tirreno nei giorni di festa.

Il viaggiatore abbastanza evoluto va sul sito di Trenitalia e scopre, con sorpresa, che la soluzione consigliata dura 5ore e 23minuti, ti fa rimbalzare addirittura su Milano e soprattutto costa quasi 60€. A Milano? 60€? Per fortuna il nostro viaggiatore era già andato in Liguria e ricorda vagamente traiettorie per Voghera e Tortona. Insospettito, si agita, guarda meglio e nota il tasto “tutte le soluzioni”: qui scopre che c’è una combinazione possibile che parte un po’ prima, arriva leggermente prima, dura 5ore e 42minuti, e soprattutto costa solo circa 30€.

Trenta euro per venti minuti di differenza sembrano decisamente un affare. Il problema è che questo viaggio prevede ben due cambi: uno a Piacenza con nove minuti di tempo e un altro ad Alessandria con soli sei minuti.  Il nostro viaggiatore riflette che quei soldi sono una cena completa e buonissima da Chiapparino e decide di osare, seccato perché la soluzione largamente più conveniente non viene mostrata insieme alle altre. È un suo diritto decidere se vuole rischiare di restare bloccato per sempre in un fazzoletto di terra tra Emilia-Lombardia-Piemonte-Liguria.

Prova a prendere il biglietto online, ma bizzarramente nel menu a tendina non compare la tariffa standard, l’unica che gli servirebbe, ma solo una serie di tariffe non proprio intuitive e che non lo riguardano. L’ostinazione dilaga e il viaggiatore va a fare il biglietto in stazione nella macchinetta automatica, dove comunque sarebbe dovuto passare con il codice prenotazione perché il ticketless non vale per i treni regionali.

Acquistato il biglietto, il viaggiatore parte con il regionale per Piacenza in perfetto orario. A bordo, aiutato o sobillato dalle diavolerie tecnologiche, inizia a seguire il viaggio passo a passo con l’applicazione Pronto Treno, che lo aggiorna in tempo reale e piuttosto bene sull’arrivo e la partenza previsti, e diventa quasi un gioco in ogni stazione. Fuori bellissime immagini di foglie autunnali e nuvole leggere. Dentro una signora salta la propria fermata e ride serena, pensando che il treno fermasse anche a Sant’Ilario, stazione che al nostro viaggiatore fa sempre venire in mente De Andrè e le puttane, con tutto il rispetto per l’adorabile signora che viaggia col sorriso sulle labbra.

Il treno, occorre dirlo, spacca letteralmente il minuto a ogni stazione e si avvicina a Piacenza. Il nostro viaggiatore inizia a controllare l’altro treno che deve prendere, il Piacenza-Torino con fermata ad Alessandria, e anche quello pare puntuale. Il viaggiatore sente il messaggio “siamo in arrivo nella stazione di Piacenza, termine corsa del treno” e si alza. Tira giù la valigia e sente un secondo annuncio: “il treno prosegue per Torino e ferma a blablabla”. Un momento, è esattamente il treno con cui avrebbe il cambio. Il viaggiatore nota che la maggior parte delle persone è ancora seduta e questo è effettivamente strano per un treno al capolinea. Allora chiede lumi alla propria vicina che gli risponde: “sì, questo treno fa così: a Piacenza cambia numero,  ma non si ferma mica, prosegue per Torino”. La notizia è ottima, però al viaggiatore girano un po’ le scatole, dato che la soluzione che Trenitalia non proponeva ha in realtà un cambio solo esattamente come quella con rimbalzo a Milano, quindi tutto sommato non così scomoda! La spiegazione che si dà è questa: non esistendo più i treni interregionali, il treno sembra finire a Piacenza, ma nella pratica alcuni viaggi interregionali esistono ancora con treni che cambiano numero, che quindi sembrano treni diversi, ma sono gli stessi di una volta.

Il viaggiatore prosegue per Alessandria con lo sguardo curioso di chi viaggia sempre sulla stessa linea e all’improvviso si trova in altre stazioni, per altri paesaggi. Continua il gioco del confronto tra due treni: il suo si ferma in aperta campagna e prende ritardo, mentre il treno da Torino viaggia improvvisamente in anticipo, il maledetto. Passa un controllore, il viaggiatore prova a fermarlo per chiedere informazioni e il controllore dice che non ha tempo in quel momento e che ripasserà. Passa un’altra stazione, secondo Pronto Treno i due treni arriveranno e ripartiranno da Alessandria esattamente alla stessa ora e quindi urge parlare con il capotreno, che non ripassa.

Il viaggiatore prende la sua roba, percorre tutto il treno e lo trova seduto comodamente a parlare con un collega. Si ricorda che occorre usare pazienza e cortesia con colui che ci può dare una mano, ma che potrebbe non farlo semplicemente perché ha il potere di non farlo. Racconta che deve fare un cambio per Genova, ma forse non avrà tempo. Il controllore risponde che le coincidenze non esistono più, il viaggiatore si scusa, sorride, dice di saperlo, ma che ecco, trattandosi davvero di un minuto alle volte succede che da un treno si chiami l’altro per sapere se può aspettare e dare il tempo alla gente di salire. Il capotreno si convince, chiama e ottiene risposta affermativa: l’altro aspetterà una manciata di minuti, quel che basta. Il viaggiatore va verso la porta e viene raggiunto da un signore dall’aspetto umile e modesto che lo ringrazia, perché anche lui aveva chiesto la stessa cosa al controllore che però gli aveva fatto spallucce. Cosa si diceva di chi può non aiutarti? Si aggrega anche una ragazza, che racconta che a lei succede spesso di fare questa corsa, e che in genere il treno aspetta, perché c’è un controllore che fa lo stesso cambio per scendere a Novi. Il viaggiatore si diverte molto con questi aneddoti locali e aggiunge che secondo il sito, se si perde “la coincidenza”, c’è poi un altro modo per arrivare a Genova ed è una combinazione di autobus fino a Tortona e poi da lì in treno. Chi lo sapeva e chi no: i viaggi sono così. A quel punto passa l’interlocutore del capotreno e avverte che il treno è fermo al binario 4. Gentilissimo.

Arrivano ad Alessandria, scendono, fanno il sottopassaggio, salgono sul binario 4 ed è fatta. Il viaggiatore sale in prima classe, perché nei treni regionali, quelli veri, la prima classe non esiste, ma a volte usano treni predisposti per averla, per cui tanto vale approfittarne. Si appiccica subito col naso al finestrino per la nuova tratta e la sua curiosità viene ampiamente ripagata quando il treno ferma, se gli credete, a Frugarolo Bosco Marengo e ci sono anche persone che ne approfittano per scendere. Il passo finale è il biglietto Genova-Camogli, che è un treno in partenza dal binario 2 sotterraneo, e quando il viaggiatore aveva provato a comprarlo online, di nuovo il sito dava due cambi e non lo faceva acquistare, perché considera Genova Principe e Genova Principe Sotterranea come due stazioni separate, invece sono solo una scala mobile di differenza.

 

La morale è che il treno è partito da Rimini alle 15.53 come previsto ed è arrivato a Camogli alle 22.53 come previsto e nel complesso il viaggiatore ha fatto il coast to coast con 30€ in totale, che è poco. Il viaggiatore, però, voleva fare sapere che esiste un treno che termina la sua corsa, ma in realtà non la termina, che Principe e Principe Sotterranea sono la stessa cosa, checché se ne dica, che a volte online si trova tutto tranne la tariffa standard, che le coincidenze non esistono più, ma a volte i treni aspettano, e che nei regionali ci sono i sedili di prima classe anche quando la prima classe non esiste.

Cose che ho imparato a New York

§ giugno 3rd, 2011 § Filed under Varie e eventuali, Viaggi § Tagged , , , , , , , , , § 1 Comment

New York è la città che ti sembra di avere già visto la prima volta in cui ci vai e che poi ti sembra sempre diversa ogni volta che ci torni. Questa volta la città mi ha insegnato l’importanza dello stare seduti, del gestire la FOMA, dell’osservare le facce, del fermare gli attimi, del non sottovalutare la quaglia.

 

Dello stare seduti: NY ti trasmette il senso dello spazio pubblico che è di tutti e di ciascuno e la possibilità di vivere la città, non solo nella città, ma proprio la città. Credo abbiano una tacita legge per cui è proibito costruito qualsiasi cosa senza dare la possibilità alle persone di interpretare il modo di usufruirne. Le file interminabili di panchine a Central Park, i tavolini con la scacchiera a Washington Square, le sedie vista fiume dell’Hudson Park, le strutture di ferro del Chelsea Market e soprattutto l’High Line. Cari cittadini, abbiamo un binario sopraelevato che non ci serve più, che ne facciamo? Si mantengono i binari, si aggiungono sedie, panchine, addirittura sdraio, si allestiscono spazi dedicati all’arte (come l’allestimento dei suoni di tutte le campane di NY), si crea addirittura un belvedere con una grande vetrata affacciata su un pezzo di strada: NY si lascia ammirare distrattamente. Cammini e vedi signori anziani sulla sedia a rotelle che prendono il sole, coppie di uomini che si sdraiano e si guardano un film sul mac, modelli vestiti da teschi che si fanno fotografare, ragazzi che girano un film. Ti inventi qualcosa da fare pur di esserci e stare non per forza con gli altri, ma in mezzo a loro.

High line con scheletro

 

 

Del gestire la FOMA: la mia guida speciale ai segreti della città (di cui si parlerà dopo, nell’atteso paragrafo sulla quaglia) mi ha spiegato che gli abitanti di NY soffrono di FOMA, ovvero the Fear Of Missing Out, che, sempre secondo la mia guida, è una sorta di Ballo di San Vito metropolitano. A dire il vero mi hanno raccontato anche che i newyorkesi sembrano avere tutti il problema dello sperma lento, ma insomma, questa è un’altra storia. La FOMA nasce dall’infinità di esperienze che la città ti offre e dal senso del limite di non potere fare tutto, di perdere così quel pezzo fondamentale che la settimana successiva sarà sulla bocca dei colleghi, nel brusio dei ristoranti, negli approfondimenti delle pagine dei quotidiani. Da qui nasce il dilemma: il weekend è dedicato al riposo o a recuperare tutto quello che non si è fatto in precedenza? Se ti fai la domanda hai già la FOMA. Se non te la fai, non abiti a NY. Ed è subito lunedì.

Poi certo a New York ti trovi, tu che ignori orgogliosamente la moda, a girare stupito e spaventato davanti ai vestiti di Alexander McQueen, a capire che anche uno stilista può essere un’espressione artistica del Romanticismo e a desiderare di essere lasciato e dimenticato in una sala con i vestiti bianchi e rossi dedicati alla scozia e la musica di Handel. E pensi che un po’ di FOMA saresti disposto anche ad averla, ma per favore niente sperma lento.

Senza nome

 

Dell’osservare le facce (e non solo): quando la notte chiudi gli occhi ti rendi conto di essere stanco non solo per avere camminato chilometri di strade, scale, musei, ma anche per avere fissato tutte le facce delle persone che hai incontrato. Non è solo il fatto che vedi mille individui diversi per colore, look, atteggiamento, ma è il modo apparentemente casuale con cui si associano tra di loro. Mi sono sorpreso ogni giorno a fissare genitori e figli che parevano calzini spaiati, tanto è vero che spesso mi chiedevo se non fossero in realtà frotte di baby sitter di tutte le età. Se guardo i miei amici, mi sembra di potere tirare una linea lungo tutte le cose che hanno in comune; se chiudo gli occhi vedo due donne camminare sulla Broadway e non c’è nessuna linea a me nota. Una è vestita con un tailleur e pantaloni, una ventiquattrore, e potrebbe essere appena uscita da un ufficio finanziario o dallo studio di Patty Hewes; accanto a lei cammina una donna minuta, capelli cortissimi, potrebbe essere lesbica, con zainetto su una spalla sola e vecchie converse; parlano tra di loro, ridono, si fermano a un semaforo e si battono il cinque. Non ho abbastanza fantasia per immaginarmi perché, ma me lo chiedo.

Coppia geek con vino

 

 

Del fermare gli attimi: ho vagato per NY inseguendo le foto di Sionfullana su Instagram. Ho quasi esultato quando ha caricato una foto di un posto in cui c’ero anch’io. Guardatele, io lo trovo bravissimo: utilizza solo l’iphone e alcune applicazioni per lavorare le immagini. Questo paragrafo è in realtà una scusa per scrivere da qualche parte che mi piace, anche perché ho impiegato mesi per memorizzare il suo nome.

 

Del non sottovalutare la quaglia: anche questo paragrafo è un po’ una scusa per ringraziare la mia Zagat ambulante e dialogante che mi ha portato in giro per la gastronomia della città. Oltre alla mappa di tutti i luoghi in cui abbiamo mangiato, merita una segnalazione il Fatty Crab. Già il nome ci fa simpatia. Poi è un malesiano fusion e siamo curiosi. Poi ti portano lattine di birra che sembrano succo di maiale e siamo già rapiti. Arriva l’antipasto e sono 4 uova di quaglia aperte e riempite di “cose” in una scala dal dolce al piccante: non c’è un solo sapore che assomigli al precedente e finisci con le lacrime agli occhi di dolore culinario. E non ci lasceremo mai. Di seguito condivido la mappa dei posti di NY in cui sono stato a mangiare. Prima però vi dico una cosa sulla quaglia: succede nella vita di questo uccello che un signore si avvicini per accarezzarlo, facendolo sentire a suo agio e rilassandolo ben bene, e solo allora, quando non c’è nessuna tensione, lo ammazza per evitare che la sua carne si indurisca e il nostro gusto ne risenta.

Tutto sommato è meglio la FOMA.


View Vivere e mangiare fuori a NY in a larger map

 

 

Oltre quattromilachilometri

§ gennaio 17th, 2011 § Filed under Varie e eventuali, Viaggi § Tagged , , , , , , , , , , § 3 Comments

Di Marsiglia la luce, della Camargue il vento, di Girona la pietra, di Barcellona il ferro, della Mancha il vuoto, di Granada l’allegria, di Cordoba il profumo.
Più che raccontare con un post il viaggio che ho fatto, ho pensato di mostrarlo con una mappa, perchè una strada di oltre 4.000 km è già un racconto di per sè.


Visualizza Milano – Camogli – Marsiglia – Barcellona – Granada – Cordoba – Girona – Camogli – Milano in una mappa di dimensioni maggiori

Il post con il viaggio in Indonesia

§ agosto 30th, 2010 § Filed under Varie e eventuali, Viaggi § Tagged , , , , , , , , § No Comments

Quando qualcuno mi chiede come è andata la vacanza, quali sono i posti da visitare assolutamente, cosa ho da raccontare, mi sento come se non avessi studiato la lezione e mi guardo intorno in cerca di un suggerimento . In genere dopo un po’ imparo una risposta sensata e la rifilo a tutti a prescindere dalla domanda (a meno che non siano le domande di mia madre, che è incuriosita da aspetti come “loro guardano la tv a tavola?”). Ho capito che vivo i viaggi in modo lineare, ma li immagazzino a macchie, per pennellate: se solo sapessi disegnare questo sarebbe l’unico modo sensato per raccontarli.

Ecco, disegnerei due ragazzi su uno scooter rosa che seguono un’infermiera indonesiana e una loro amica, le due senza casco, in mezzo a strade caotiche o piccole vie deserte circondate da templi. La ragazza si lascia trasportare senza sapere dove sta andando, si volta e sorride, alzando le spalle. I ragazzi ripartono di sera, attraversano cento paesi tutti diversi, prima le vie d’argento, poi quelle di legno, poi quelle di pietra, intorno si vedono ancora palme, terrazze di riso verdi anche all’imbrunire e aquiloni in cielo. Nel fumetto metterei delle note musicali, perché i due ragazzi stanno canticchiando, la strada è lunga e la sera è fresca. In basso a destra scriverei: Ubud, isola di Bali, 15 agosto 2010

Volterei pagina per disegnare dei punti colorati sul bordo di un vulcano, tende a cui si arriva dopo otto ore di cammino. Dovrei riempire un fumetto con i suoni di chi ansima, perché i due ragazzi sono stanchi e la forza per fare ancora qualche metro è terminata ore fa, più o meno quando hanno superato le nuvole a 2000 metri. I due si affacciano su uno strapiombo, una parete liscia e ripida che scende fino a un lago da cui emerge un altro vulcano attivo. Qui dovrei riempire un fumetto di silenzio. Una nuvola entra piano nello spazio vuoto, lentamente si mangia il lago e resta solo il fumo. I vestiti sono mossi da un leggero vento che porta con sé la notte, di quelle così buie che le stelle ti cadono addosso, ma loro non sanno riconoscerle perché sono in un altro emisfero, allora guardano i fuochi accesi per cucinare, entrano nella tenda e sorridono, prima di addormentarsi per terra senza accorgersene. Qui scriverei: Rinjani, 2639 metri, 8 agosto 2010

Infine vorrei una tavolozza con i colori primari per dipingere il blu intenso dell’acqua, il bianco delle onde e il giallo della spiaggia che si allontana; altri colori mescolati per il legno scrostato di una barca con sopra troppe persone, facce diverse, lingue diverse, espressioni diverse, con lo sguardo verso il mare e con i piedi appoggiati sugli zaini bagnati. Nel fumetto le parole non avrebbero senso, sovrapposte come sono e confuse dal rumore del motore. I due sono seduti, anzi aggrappati, a diversi lati della barca e vedono spuntare dall’acqua un branco di pesci, di quelli che saltano, all’inizio sembrano solo tanti riflessi di un’onda più corta, poi saltano di nuovo, e di nuovo, guarda ancora e alla fine spariscono. Qui vorrei sapere disegnare abbastanza bene da mostrare l’espressione di uno dei due, sorpreso perché non è mai stato in un mare così grande, teso perché non è mai stato su una barca così vecchia, curioso perché sta andando in un luogo che non saprebbe nemmeno posizionare su una mappa. In basso a destra scriverei: Oceano Indiano, al largo di Gili Meno, 12 agosto 2010.

Qui trovate l’album di foto su Flickr: http://www.flickr.com/photos/ishmael78/sets/72157624863202574/

La Lega degli Enigmisti Infingardi

§ giugno 22nd, 2010 § Filed under Varie e eventuali § Tagged , , , , , § No Comments

Ieri sera, mentre giravo in bici per le strade di Milano, ricevo una telefonata che mi avvisa che è finito il gioconeFF2, ovvero, a quanto ne so, l’unico social game pensato per Friendfeed.

Adamo, creatore, notaio e patrono del gioco ha dichiarato vincitore Clockwise, e pazienza.

Quest’anno per arrivare alla finale si sono dovute superare tre tipologie di prove: quelle di ingegno, amatissima dagli appassionati di logica e enigmistica, quelle di fortuna, tra cui un dungeon come nei mitici libri-game, e quelle social, in cui occorreva fare squadra e creare qualcosa per accaparrarsi i favori della social community.

Uno dei grandi meriti del giocone è proprio di farti cimentare con prove assolutamente diverse tra loro e farti scoprire che in fondo non te la cavi così male. Io festeggio il mio decimo posto pubblicando il racconto che ho scritto per un livello social. Uniche regole del gioco: iniziare con la frase “non mi ero mai divertito così tanto in vita mia” e non superare le 30 righe. Per il breve racconto che segue ringrazio l’occhio attento e scaltro di Paperdoll, editor d’eccezione.

La Lega degli Enigmisti Infingardi

Non mi ero mai divertito così tanto in vita mia come quando, il 4 aprile, trovai questo
annuncio nella Gazzetta di Parmia. “La Lega degli Enigmisti Infingardi (ex Infallibili)
cerca nuovi adepti. Si fornisce un’uniforme, un cacciavite, sale grosso e un paio di
sandali da scoglio. Astenersi perditempo”. Spiccava non poco in mezzo ai soliti, noiosi
messaggi: “Smarrito uno steatopigio. Contattare Jackie la Troia. Lauta ricompensa”,
oppure “Mauricio l’autista insegna a usare la eeeh a bordo della sua monovolume”. Ero
divertito, certo, per il tono vagamente surreale: e anche non poco incuriosito.
Grazie alle mie fonti, venni a sapere che, prima di questo annuncio, nella Lega degli
Enigmisti Infingardi (già Infallibili) si erano vissuti giorni di terrore: il Grande Capo
Solutore aveva convocato il Consiglio dei Saggi senza rivelare l’ordine del giorno.
Erano passati tredici anni dall’ultima convocazione e allora erano servite sette notti per
decidere se nello spettro dei colori il nero andasse prima del rosso o dovesse essere
completamente eliminato. Rosmunda l’Anagrammista aveva provato a cercare un
indizio nella lettera di partecipazione, ma l’unica soluzione che era riuscita a trovare
suonava come un incomprensibile “Livello trenta, arriviamo!”. Si erano addirittura
radunati tutti prima dell’inizio, per elaborare un piano di fuga: avevano escluso solo il
Garzone delle Parole Facilitate, poiché inaffidabile e la Pocodibuono delle Soluzioni
del Numero Precedente, perché sempre in ritardo. Si era stabilito che no, non serviva
un’imbiancatura, l’insegna poteva restare con una lettera mancante e che non era il
caso di mettere un miscelatore in bagno, quando era suonata la fatale campanella della
convocazione al Consiglio.
Il Grande Capo Solutore entrò nella Sala Concentrica tenendo in mano un vecchio
libro che nessuno aveva mai visto. «Fratelli – esordì – quello che ho in mano è il più
grande tesoro della Lega degli Enigmisti Infingardi (furono Infallibili). Questo è l’unico
libro di profezie che si avverano veramente, il celeberrimo Visoni, Visioni e Previsioni
di Gaia Sorcini». Tutti si alzarono in piedi presi dal panico, inquieti e al tempo stesso
curiosi di conoscere il loro futuro: la Sgarzola delle Ultime Parole Famose non riusciva
ad aprire bocca, l’impassibile Vegliardo Senza Schema sbatteva la testa contro il muro,
quell’eterna indecisa della Susi non sapeva più chi chiamare. «Amici – disse il Grande
Capo alla fine – il libro parla chiaro: dobbiamo unire le nostre forze e trovare nuovi
talenti. La profezia annuncia oggi la nascita di colui che ci spazzerà via con un sorriso
sornione e un’alzata di sopracciglio: Adamo Lanna». E la ricerca incominciò.

Games e Facebook: tre esempi di integrazione

§ aprile 12th, 2010 § Filed under Advertising, Varie e eventuali § Tagged , , , , , , , § No Comments

Ultimamente si è parlato molto dello storico sorpasso di Facebook su Google: certo alcuni hanno fatto notare che la notizia racconta solo una parte della verità, ma è indubbio che ormai il social networking sia una delle principali attività online e che Facebook per molti sia diventato sinonimo dell’interno web.

Questo fenomeno ovviamente interessa molto anche alle aziende che cercano di utilizzare Facebook come piattaforma di relazione e/o comunicazione: se infatti vi sono già meccanismi abbastanza consolidati per il posizionamento su Google, in termini di search engine marketing, per riuscire ad avere visibilità nei profili degli utenti occorre che questi ultimi compino direttamente un’azione per aprire la porta della loro casa, in cui si ritrovano con gli amici.

Alcuni esempi interessanti in questo senso sono legati ai games.

Il primo è Prototype, un action-adventure dell’Activision, uscito da noi lo scorso giugno. Andando sul sito del gioco e utilizzando Facebook Connect si ha una piacevole sorpresa: tra le proprie foto caricate online, ne vengono scelte casualmente alcune che poi sono inserite nel trailer del gioco. Nel trailer personalizzato vengono utilizzate anche le informazioni personali che si sono rese pubbliche su Facebook, aumentando la sensazione di essere veramente parte della storia. Inoltre alcune persone presenti nelle nostre foto vengono praticamente cancellate, coerentemente con la trama di Prototype: il gioco si svolge infatti in una New York infestata da un’epidemia che trasforma le persone in mostri.

Per esempio nel mio caso tra le foto selezionate ce ne è una buffa in cui mimo una scena dell’orrore con una ex-collega (non so se si tratti di fortuna o abilità) e hanno cancellato la faccia di una mia amica mentre ci atteggiamo come i ragazzi di Glee. C’è qualcosa di Scary Movie in tutto questo.

Ovviamente alla fine viene fornita l’opportunità di mostrare ai propri contatti questo video, e trattandosi non di una forma di pubblicità ma di un contenuto di entertainment dove le persone vengono messe al centro dell’azione e dell’attenzione, diventa uno stimolo mostrarlo ai propri contatti ed entrare quindi a fare parte della campagna.

Il secondo esempio è legato al film Tron: Legacy, che racconta la storia di Sam Flynn impegnato nelle indagini sulla scomparsa del padre Kevin, ex dipendente della ENCOM, società per la quale realizzava video games. Trattandosi del seguito di un famoso film degli anni ’80 che ha dato vita anche ad alcuni video game, insomma un classico per nerd di diverse generazioni, gli autori hanno dato vita a un viral game, ovvero una sorta di ricerca di Kevin online basata su tracce e indizi che vengono dati a poco a poco sul sito. Questa operazione ricorderà a molti l’ARG ideato per The Dark Knight.

I progressi nella ricerca del personaggio scomparso possono essere mostrati ai propri amici sempre via Facebook Connect. Personalmente sarei stato fiero di riuscire a risolvere un “livello” tanto bello quanto frustrante (per chi non ci riesce): aggirarsi per una grande città di pixel e riconoscere i 56 video games che si incontrano nel percorso. I vincitori vengono assunti alla ENCOM e ricevono un badge per partecipare a una festa a San Francisco. Come lo so? Perchè qualcuno ce l’ha fatta e giustamente se ne vanta.

L’ultimo caso che mi ha colpito viene invece da Israele e a differenza degli altri non parte da un gioco per arrivare a Facebook, ma usa un gioco di Facebook per portare al prodotto. Si tratta di una campagna per lanciare la variante alle noccioline di uno snack al cioccolato, tale Elite Taami Nutz: Zynga, i creatori del fenomeno Farmville, renderanno disponibile dal 14 aprile il primo raccolto sponsorizzato, proprio quello di noccioline, che finora mancava nel gioco. Oltre ai semi ci sarà anche una sfida in cui si chiederà ai farmer di usare creativamente il raccolto all’interno della propria fattoria.

Per chi fossi interessato, Mashable ha pubblicato anche i prezzi dei semi: costano 20 crediti, si vendono per 78 crediti e il raccolto viene ottenuto in 16 ore.

In sintesi, questi tre esempi mostrano a mio avviso tre vie per essere visibili su Facebook:

  • utilizzare il materiale già caricato e generato su Facebook in maniera ludica e personalizzata
  • creare dei livelli di sfide progressivi e fornire badge da mostrare
  • inserirsi in modo coerente e costruttivo in un contesto già affermato aggiungendo nuove feature

Conoscete altri esempi che ritenete interessanti?

Friendfeed: dieci suggerimenti per partecipare alla festa

§ marzo 17th, 2010 § Filed under Social Media, Varie e eventuali § Tagged , , , , , , § 10 Comments

Oggi non parlerò di gaming, ma proverò a scrivere alcune considerazioni sui  social network e i party.

Numerose ricerche ci testimoniano che i social network sono una delle attività di maggiore successo e interesse per gli internauti: personalmente passo-perdo-investo gran parte del mio tempo online su Friendfeed e mi capita spesso di pensare a quanti e quali meccanismi si creino al suo interno.
Immaginando Friendfeed come una festa a cui tutti possono potenzialmente partecipare, diciamo la FriendFeast, secondo me è bene tenere a mente alcune delle seguenti dritte:

1.    È più comodo arrivare con un invito: ogni festa ha i suoi imbucati, si sa, e in ogni festa ci sono quelli che si aggirano solitari con in mano un’oliva all’ascolana e un rosè. Prima o poi si conosce qualcuno, ma dipende quanto si è pazienti o socievoli. Se invece venite presentati da chi è già alla festa da un po’, come ha fatto LaFra con me, troverete più facilmente qualcuno che mi rivolgerà parola e brinderà con voi. Insomma, se siete appena arrivati e non conoscete nessuno, provate almeno a imbucarvi nel cocktail di benvenuto.
2.    Non presentarsi a mani vuote: anche se non vedete l’ora di avventarvi sul buffet, è buona norma portare qualcosa alla padrona di casa, che sia il vino, il gelato, o cappellini e trombette. Ovvero portate alla FriendFeast la vostra attività in rete, fate capire che avete qualcosa da dire, se conoscete già qualcuno fatevi riconoscere (presentarsi sempre con lo stesso nome è un buon inizio): gli altri avranno l’impressione che non siete lì per caso, che non ve ne andrete prima della tombola e che anzi potrebbero incontrarvi in altre feste. Tra l’altro la FriendFeast è un ottimo modo per dare visibilità a quello che portate, dato che se è buono gli altri vi faranno almeno un sorriso.
3.    Cercare i propri simili: non è bello arrivare a una festa e trovare qualcuno vestito esattamente come noi, ma forse è peggio vestirsi da fatina quando tutti hanno la spilla da balia in bocca. La cosa più comoda è iniziare a parlare con chi ci somiglia. Se siete imbellettati come Rossella O’Hara, cercate qualcuno che apprezzi il cinema, se vi atteggiate come Master Chief, cercate qualcuno che capisce chi siete: è una festa molto grande, trovare chi ha i vostri stessi gusti è un buon modo per farvi conoscere senza essere invadenti.
4.    Chiedere consiglio: alle persone piace sentirsi importanti e dare la propria opinione anche se non richiesta. Tra l’altro ci sono alcuni che hanno un’opinione granitica su praticamente tutto lo scibile umano. Se vi aggirate per la festa chiedendo come si usa la carta da forno, quale conto corrente aprire o quale canzone d’amore vi strugge di più, probabilmente qualcuno vi risponderà e potrete farvi un’interessante idea di quello che pensano gli altri.
5.    Andare in salotto a vedere la tv: una delle cose divertenti di questa festa è che si può tranquillamente andare a vedere la tv e nessuno si offende, anzi, si trova spesso il divano già occupato. L’unione fa la forza e se prima era da sfigati restare in casa a vedere San Remo mentre tutti uscivano, alla FriendFeast si esce con gli altri restando tutti a casa propria a vedere San Remo. Non è vero che i più “cool” della festa non vogliono la sala tv, solo che la vogliono in un posto che per loro è cool e che li faccia sentire tali per dare vita al gruppo d’ascolto.
6.    Comprare la cartella per la tombola: quando la conversazione cala e il buffet scarseggia, bisogna sperare che i padroni di casa abbiano organizzato un gioco. Giocare insieme è da sempre uno dei modi più spassosi per socializzare, soprattutto se la tombola prevede la collaborazione di più persone e se chi l’ha organizzata sa come funziona la festa. Questa persona si guadagnerà fama e gratitudine.
7.    Scovare le stanze segrete: ogni festa che si rispetti ha i suoi privè, le stanze dove ci si imbosca, dove la calunnia è un venticello, dove senza un invito non entra nemmeno la luna. Qui c’è poco da fare, giocatevela bene nella sala principale e quando qualcuno vi fa l’occhiolino, non fatevi sfuggire l’occasione.
8.    Uscire dalla torta ed esibirsi: qualcuno deve pure fare animazione. Si sa, chi si espone si prende gli applausi e le critiche, ma in fondo fa un piacere a tutti dando qualcosa di cui (s)parlare. Potete mettervi improvvisamente a cantare, potete piazzarvi su un tavolo e fare polemica, potete anche fingere di dire qualcosa sottovoce sapendo che vi sentiranno tutti. Magari vi daranno delle trequartiste, ma tutti sapranno chi siete se è questo che volete.
9.    Parlare di altre feste: per alcuni andare a un party è un impegno, per altri un’occasione, per altri ancora quasi una professione. Se vi piace organizzare incontri, siete nel posto giusto per dirlo e per fare in modo che qualcuno venga. Spesso il successo della vostra iniziativa è misurabile dalla quantità di lamentele degli esclusi e sappiate che chi parteciperà farà di tutto per farlo sapere agli altri immortalandosi gli uni con gli altri con le reflex in una specie di mezzogiorno di foto.
10.    Fare i complimenti alle piastrelle: prima di uscire, ricordatevi di dire qualcosa alla padrona di casa, ringraziatela, fatela sentire apprezzata. Alla fine la maggior parte delle persone è alla festa per un solo motivo, ma si può sempre raccontare che si era interessati alle piastrelle.

Alla fine l’unica cosa che mi manca è cronista indiscreta della festa, una Gossip Girl che sia “your one and only source into the scandalous life of the FriendFeed elite”, ma chissà, magari è in una stanza segreta in cui nessuno mi ha invitato.

Need for speed Shift: la corsa dei banner

§ gennaio 20th, 2010 § Filed under Advertising, Varie e eventuali § Tagged , , , , , , § No Comments

Dall’Olanda viene una interessante case history per il lancio di un videogame.

L’Electronic Arts, per promuovere Need for Speed SHIFT, ha deciso di utilizzare gli spazi banner come una vera e propria piattaforma di gioco, creando una corsa di auto simile a quella che si può avere in un gioco online utilizzando però l’advertising.

Su una serie di siti di gaming e di auto sono stati pianificati banner attraverso i quali le persone potevano giocare, sfidarsi gli uni con gli altri, passando da un sito all’altro, e raccogliere i risultati finali in un sito creato ad hoc per la campagna.

Ovviamente per incentivare i naviganti a giocare (a me basterebbe la corsa, ma capisco di non essere particolarmente rappresentativo) il vincitore si è portato a casa una racing chair con il gioco e un mini-fridge di Coca Cola Zero. Tra l’altro Coca Cola risulta essere anche lo sponsor del ranking, per cui mi chiedo se per EA si sia trattata anche di un’aggiuntiva opportunità commerciale.

Come hanno dichiarato gli autori di questa campagna:

Combined, all 5 websites form a Grand Prix. Players can save and cumulate their scores across all five websites, by creating an online Driver Profile.

Perchè mi è piaciuta quasta campagna?

  • perchè cerca di utilizzare il videogame non solo come un prodotto, ma anche come un linguaggio in comunicazione
  • perchè ha creato un uso interattivo del banner, a dimostrazione del fatto che come formato pubblicitario non è morto, ma deve integrarsi con il contenuto che promuove e con il flusso di navigazione degli utenti
  • perchè avrebbe coinvolto anche me, pur non essendo un grande appassionato di racing games

Che ve ne pare? A voi vengono in mente altre comunicazioni di videogame che hanno fatto un uso interattivo dei classici spazi pubblicitari? E già che ci sono, avete qualche suggerimento per giochi di corse?

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