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Ho già parlato in un post precedente del ruolo che possono avere i videogame nella promozione di prodotti dell’entertainment (che emozione, mi autocito), ed un nuovo caso interessante di uso dei meccanismi ludici viene ancora dalla musica, forse uno dei settori che sta subendo più cambiamenti negli ultimi anni e che quindi è più a caccia di nuove soluzioni.
Stavo casualmente cercando una canzone di Lady Gaga (ok, lo ammetto, Poker Face mi si è piantata in testa e la sento ovunque) e mi sono rivolto a Youtube, la mia principale fonte di musica online. Sul canale della cantante non solo ho trovato varie canzoni, ma anche un game legato a un video musicale!
Durante il video, segnalato anche da un countdown, compare un quiz a risposta multipla che si può risolvere solo se si sta effettivamente seguendo la clip. Occorre tenere gli occhi bene aperti, per risolvere i diversi livelli (ben 15) ed arrivare al meritato finale: giocando si scopre che l’iniziativa non riguarda solo Lady Gaga, ma anche altri artisti come gli Yeah Yeah Yeah (e qui non posso non linkare un’altra canzone che adoro).
Qualcuno pensa che i video siano tenuti come sottofondo mentre si fa altro? sbagliato: il meccanismo del gioco ci spinge a prestare massima attenzione al contenuto, con tutti i sensi possibili, e, perchè no, anche alla pubblicità che a quel contenuto è legata. “Don’t miss a beat“, come dicono gli autori (Universal Music) del gioco.
Tempo fa mi era capitato di trovare anche altri tentativi/esempi di game via Youtube, segno che qualcosa di interessante si sta muovendo anche sulle piattaforme di socialmedia: qualcuno di voi conosce qualche caso da segnalarmi?

Su Ad Age, ottima rivista di advertising e media, è apparsa un’interessante riflessione dal titolo “Smartphone Could Fuel Surge in Video Gaming”; non inserisco il link poichè gli articoli sono visibili gratuitamente solo nella prima settimana dalla pubblicazione.
Tra videogame per console e videogame per cellulare c’è sempre stato un abisso: i primi sono immersivi, complessi e piuttosto costosi, i secondi sono casual, semplici e tendenzialmente gratuiti o economici.
In realtà sono differenze che riguardano più le potenzialità dell’hardware che non l’attitudine delle persone: chi gioca è infatti sempre portato a concentrarsi più o meno a lungo sull’azione e a volere rigiocare per cercare di battere se stesso – abilità – o gli altri – competitività.
Oggi però gli Smartphone sono sempre più delle scatole tecnologiche che consentono, tra le altre cose, di telefonare e con le quali è possibile avere esperienze di gioco evolute per certi versi paragonabili alle console portatili o in ogni caso appaganti per un pubblico allargato.
Ecco perchè mi sembra molto interessante il fatto che, come riporta l’articolo citando uno studio della NPD:
smartphone users play games more often than they use the business-related applications on their devices. Among iPhone users specifically, playing games was the most increased use of the phone over the past three months.
Perchè un post su questo argomento? (se lo dico solo alla 20° riga, forse sono un po’ logorroico).
Perchè al di là delle potenzialità dell’hardware credo che proprio il gaming possa divenire il punto di incontro vincente tra la comunicazione dei brand e l’utilizzo del mobile come medium: sempre più spesso si sente parlare di mobile advertising e sembra che ogni anno sia quello buono per la sua definitiva esplosione. Appena lo si nomina gli uomini di marketing drizzano le orecchie, alla ricerca di novità con cui distinguersi dai competitor e in grado, chissà, anche di fare riprendere i consumi: mobile, viral e social media sono le parole che esaltano grandi e piccini nella comunicazione.
Al momento, a mio avviso, non sono però stati trovate forme di comunicazione adatte a utilizzare un mezzo in cui non siamo abituati a ricevere pubblicità, su cui abbiamo e vogliamo mantenere massimo controllo, ma anche dal potenziale enorme, dato che è sempre e ovunque accanto a tutti noi, una vera estensione della nostra persona.
Personalmente io ricevo solo fastidiose offerte di una mia ex palestra e messaggi della Tim che non leggo , poichè sono troppi, arrivano al momento sbagliato e non catturano mai la mia attenzione, come invece fanno gli sms degli amici.
La brandizzazione di game o forme di pubblicità all’interno di giochi per l mobile possono invece divenire le forme ideali per:
- fornire contenuti e non fare solo pubblicità (contest is king)
- fare partecipare attivamente il target alla nostra comunicazione (prosumer)
- essere certi che il messaggio sia visto dal nostro target (il gioco mi sembra l’antitesi del multitasking)
Mi piace molto il riferimento all’aumento d’uso del gaming soprattutto per l’iPhone, dato che il gioiellino della Apple, vero oggetto di lifestyle, è sempre di più un anticipatore delle tendenze future per tutta la categoria. Soprattutto l’App Store, che consente agli utenti di installare applicazioni sviluppate da terze parti, può essere la killer application per portare la comunicazioni, o meglio ancora i contenuti dei brand sotto forma di game a un target attivo, coinvolto e partecipativo. O no?
Secondo voi quali sono le opportunità o i rischi che vengono ai brand da questa forma di comunicazione? Conoscete già dei case study interessanti?
Infine, gli smartphone possono diventare dei veri e propri competitor delle console portatili o al contrario essere degli alleati?
Io voto la seconda ipotesi, poichè chi vuole principalmente giocare sceglierà sempre una DS o una PSP, per la forza del brand, ma anche per le loro specifiche funzionalità e per non scaricare la batteria del cellulare (come si legge chiaramente qui); gli smartphone possono invece fare comprendere più facilmente ai brand le potenzialità del (casual) gaming come mezzo di comunicazione allargato, con grande beneficio di tutta la categoria.
Il primo che mi risponde vince un iPhone! (scherzo)
Qualche settimana fa, parlando con un ragazzo che partecipa a un master sui videogame, mi è stato fatto notare il ruolo marginale, se non nullo, che hanno i videogame nella stampa generalista.
Credo che uno dei casi di maggiore celebrità di un videogame nella nostra stampa sia stato “Rule fo Roses”, finito sulla copertina di Panorama col poco ambiguo titolo “Vince chi seppellisce viva la bambina” e addirittura portato all’attenzione della Commissione Europea dal lungimirante Frattini: qui potete leggerne un resoconto.
Anche se il caso dimostra soprattutto una conoscenza superficiale della materia trattata e la presenza di una serie di pregiudizi quanto meno imbarazzante da parte di giornalisti, è più importante sottolineare che erano soprattutto notizie come questa a raggiungere la notorietà presso il grande pubblico: una notorietà tale che alcuni, un po’ dietrologi, sostengono che il caso è stato montato dagli stessi distributori del videogame per aumentarne l’effetto cult! Anche se è vero che le cose vietate sono le più attraenti, penso che questo caso dimostri la netta, e fino a poco tempo fa volontaria, separazione della cultura dei videogame dalla cultura mainstream.
Poi è arrivata Nintendo con la Wii, DS e software inaspettati, e la visibilità positiva è notevolmente aumentata, divenendo esempio e anche traino per l’intera categoria.
Eppure è vero che nei quotidiani o settimanali italiani, i videogame non sono ancora entrati con continuità nelle segnalazioni delle pagine di cultura e intrattenimento, accanto a film, libri, musica, spettacoli, programmi tv: eppure i numeri di vendita fanno pensare a un interesse di un pubblico sempre più vasto.
Perchè? Il fatto di parlare un linguaggio troppo settoriale da parte del gaming è sempre meno vero e meno attuale, e forse occorre valutare anche l’immobilità di molta stampa italiana, che non sa seguire i cambiamenti di gusti e di linguaggi del pubblico, e che, alla fine, rischia di avere sempre meno pubblico che la legge: le notizie di grande crisi della stampa americana, forse il mezzo che più sta risentendo dello spostamento delle audience sul web, dovrebbero fare riflettere sui pericoli che attraversa questo medium.
Però dalla stampa straniera arrivano esempi interessanti di apertura al gaming da parte di quotidiani e settimanali: negli USA Variety ha un blog dedicato all’argomento e soprattutto The Guardian, che a mio giudizio è il quotidiano che fa l’uso più coraggioso del web, ha una sezione di grande interesse e qualità, e che ho intenzione di citare spesso. 
Ma la notizia più interessante di tutte è che The Guardian ha addirittura prodotto il suo primo videogame! Come si legge nell’articolo di presentazione, si tratta di “a collaboratively generated text adventure set on a wounded ship deep in space”.
Spaceship, questo il nom del videogame, è quindi un’avventura testuale creata collettivamente dalla comminity dei lettori del blog del quotidiano:
“Spaceship! was developed using social media tools: open-source software, a wiki, the blog. As development ignorami, we drew in established members of the games development and interactive fiction communities to guide and support us“.
Se volete giocare e farvi un’idea di cosa ne è venuto fuori, cliccate qui.
Perchè questa notizia mi interessa? Perchè da un lato i videogame hanno bisogno della stampa (e della tv) per uscire dal loro ambito circoscritto e divenire un oggetto di cultura e intrattenimento a tutti gli effetti, ma anche perchè la stampa può utilizzare il linguaggio interattivo dei videogame per catturare l’interesse di audience sempre più in fuga e per riuscire a coinvolgerla in una maniera sempre più attiva (che fa tanto web 2.0 e compagnia bella).
E, come spesso succede, i primi che lo capiranno avranno un vantaggio iniziale non facile da colmare. O no?