L'indispensabile serietà del gioco
Il ruolo che occupa il gioco nella vita dell’uomo è un tema su cui non si riflette abbastanza. In realtà avere una risposta a questo interrogativo permette di sgombrare il campo da tante inesattezze e pregiudizi che spesso si leggono quando si va a parlare di giochi (che siano “video-” o no).
Per questo ho trovato molto interessante il libro “Oasi del gioco“, scritto da un filosofo tedesco, Eugen Fink, nel 1957.
Prima di tutto Fink ci invita a riflettere sui momenti chiave dell’esistenza di ognuno: “l’uomo è essenzialmente un mortale, un lavoratore, un lottatore, un amante e un giocatore“. La nostra esistenza è infatti determinata dalla consapevolezza di dovere morire (toccate ferro, se volete), ed il gioco è uno degli ambiti base attraverso cui l’uomo vive e si contrappone al suo destino: “il carattere del gioco è l’azione spontanea, il fare attivo, l’impulso vitale: il gioco è l’esistenza che si muove da sé“.
Eppure c’è un tratto fondamentale che differenzia il gioco dagli altri impulsi vitali. L’uomo vive sempre anticipando il futuro, intendendo il presente come una preparazione di ciò che sarà, un passaggio in un cammino di cui si guarda sempre la destinazione, per capire il senso della nostra permanenza nel mondo. Il gioco si distingue perché è l’unica attività fondamentale a cui manca questa caratteristica di “futurismo”: noi non giochiamo in vista di uno scopo finale futuro, non ci proiettiamo nel tempo a venire, ma lo facciamo per godere di un’oasi di presente, con un senso tutto suo e autonomo rispetto al resto delle attività. “Il gioco ci rapisce“.
Questo passo è fondamentale per capire che contrariamente a quanto si pensa spesso sul gioco, e ancora di più sul videogioco, questo non è affatto privo di senso: l’errore nasce dal fatto che tutte le attività umane sono rivolte allo scopo finale, mentre “l’azione del gioco ha scopi interni a sé, che non rimandano ad altro. […] Proprio il senso conchiuso e circolare del gioco fa emergere una possibilità di soggiornare dell’uomo nel tempo, un istante, un lampo di eternità“. In sintesi, il gioco regala il presente e questo dovrebbe fare capire quanto sia insensato organizzare gruppi per buttare i giochi nei cestini: forse queste persone dovrebbero curarsi l’ansia del futuro
L’invito di Finck è di non contrapporre il gioco al lavoro, all’amore, addirittura alla realtà, perché questo sgnificherebbe non capirlo: è un’attività fondamentale dell’esistenza, e proprio il fatto di non essere direzionato verso il futuro gli permette di rappresentare tutte le altre attività: possiamo giocare con il lavoro, con l’amore, con la morte, e, forse in modo ancora più sorprendente, possiamo giocare con il gioco.
“Il mondo del gioco è una sfera che affascina, seduce, libera dai vincoli e temporaneamente ci trasforma. Anche se poi abitualmente nelle attività serie si fa resistenza al comportamento giocoso, e spesso viene ignorato il giocare con il lavoro, così come viene ignorato molto dell’elemento giocoso che si sviluppa nella vita cosiddetta seria della professione (ma anche della relazione tra sessi). E si ignora che i giochi dell’uomo preferiscono come loro contenuto tematico proprio le grandi storie tragico destinali, si ignora che noi giochiamo con la strenua fatica del lavoro, con il furore esaltato della lotta, con il trauma di Elettra, con lo sposalizio dei giovani amanti, e a volte perfino giochiamo con la mancanza di serietà del gioco stesso, la ripetiamo, giocando la mettiamo in scena“.
Ho pubblicato lo stesso post anche qui.
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