In un bellissimo caravanserraglio divenuto albergo abbiamo trovato un questionario dell’Università di Teheran sui motivi che spingono le persone a visitare e non visitare l’Iran come metà turistica. Accanto a quelli più ovvi come “si sta allentando la tensione con gli USA” oppure “le donne sono obbligate a coprirsi il capo” uno mi ha particolarmente colpito: “penso che viaggiare in Iran mi dia status”.
L’Iran evoca immagini che ti fanno sentire un viaggiatore non banale: meta poco esplorata e civiltà millenaria, rozzi uomini politici e raffinati registi o scrittori, confusa zona del mondo in cui non si capisce mai chi sono i buoni e chi sono i cattivi.
In realtà l’Iran è un paese che prima di tutto mi ha sorpreso, ha preso le mie idee e le ha lentamente cambiate, mi ha dato status senza che me lo meritassi veramente.
Non bisogna dare retta agli sconosciuti con la barba nera:
Entravamo nelle moschee con la prudenza di chi non conosce le regole, sapendo solo di doverci togliere le scarpe. Pensavamo di dovere stare muti e contriti e di generare comunque un po’ di sospetto con le nostre facce bianche. Si è avvicinato un signore di mezza età, vestito di scuro, coi baffi e la barba, un classico caratterista musulmano di qualsiasi serie tv. Ci ha chiesto se conoscevamo la Moschea di Yazd e se poteva avere l’onore di spiegarcela. Attorno a noi sono arrivate una decina di persone, tra adulti e bambini: erano la sua famiglia. Ci andava di fare un giro con loro per la città di notte? La moglie della nostra guida era molto elegante, i bambini ridevano di gusto, i ragazzi più grandi volevano fare vedere di sapere parlare bene l’inglese, ma senza correggere i genitori, per rispetto. Ci hanno portati a spasso in una città affasciante e labirintica, tutta costruita col fango, tra torri del vento, vie buie, piazze con giochi arrugginiti e porte da calcio. Quando dovevamo entrare in qualche monumento andava avanti la signora per dire al bigliettaio che noi eravamo loro amici e farci entrare gratis come gli iraniani.
Erano una famiglia metà iraniana e metà irachena, la guerra del golfo li aveva divisi e da allora le giovane generazioni non si erano mai conosciute, fino a quella sera a Yazd, che loro hanno voluto condividere con due italiani, parlando inglese, arabo e Parsi.
Alla fine ci hanno salutato così: “ma voi avete Facebook? Allora possiamo diventare amici?”.

Prigione di Alessandro
In Iran sono tutti fanatici religiosi
In taxi, nei ristoranti, per strada, in casa varie persone ci hanno chiesto se eravamo religiosi per poterci dire che loro no, non lo erano. Ne ricordo una.
Una signora coi capelli bianchi, verso i 60 anni, elegante. Parlava un bell’inglese perché prima del ’79 aveva amici americani. Aveva una forte passione per la musica e mi ha insegnato il modo in cui gli iraniani schioccano le dita per accompagnare i balli. Eravamo in una casa privata e quindi abbiamo potuto ballare. Io imbarazzato e goffo, lei soddisfatta e sinuosa. Mi ha confessato di quanto le piaccia ballare, ma che ora può farlo solo in casa: anche ai matrimoni uomini e donne festeggiano separati. Mi ha raccontato di quando era giovane e andava al mare in costume, insieme a sua madre, e ora non più. Mi ha detto di essere atea e di quanto sia difficile vivere in un paese che ti proibisce di fare qualcosa che ami in nome di qualcosa a cui non credi. Mi ha confidato che gli Iraniani vivono una vita pubblica che è quella che ci aspettiamo noi Occidentali e il loro Governo, e una vita privata dove bevono alcol, ballano e indossano pantaloni corti. Va tutto bene, purché non si veda fuori e non si pretendano diritti. Nel mio piccolo ho sentito che avevamo in comune più di quanto io e lei ci saremmo aspettati, con la sola differenza che di noi due solo lei sapeva ballare.
Le donne musulmane non ti rivolgono la parola:
La tomba del poeta è uno dei luoghi più amati dagli iraniani. Anche chi non abita a Shiraz ti chiede se ci sei già stato e ti invita a farlo il prima possibile. Si tratta di un semplice e bel giardino, con piante, alberi, panchine e al centro una pietra commemorativa di questo poeta edonista.
Dal tramonto centinaia di iraniani si riversano nel giardino a trascorrere la serata, passeggiata, leggendo i versi di Hafez e scattandosi foto improbabili. Tra i giovani il selfie con la tomba va fortissimo.
Siamo rimasti un po’ distanti a guardare questi momenti quotidiani e speciali allo stesso tempo, quando si sono avvicinate due ragazze, molto belle e eleganti e ci hanno, come diremmo noi, abbordato. Ci hanno tempestato di domande (la più frequente domanda in tutto il viaggio è stata “ma cosa si dice da voi degli Iraniani? Pensate che siamo tutti terroristi?”) e ci hanno detto che per loro è una fortuna potere parlare con degli stranieri e esercitare l’inglese. Quando ci hanno invitati ad andare a cena con loro, abbiamo pensato che va bene sfatare i cliché, ma qui si esagera. Non sono passati più di cinque minuti che è arrivata un’altra ragazza con la madre e ci ha chiesto se eravamo francesi. No. Sapevamo parlarlo? No. Avevamo notato qualche francese? Lei voleva tanto esercitare un po’ di conversazione, per caso noi eravamo stati a Parigi?
E siamo passati la sera così, tra persone che si scattavano foto ricordo, giovani che cercavano stranieri per fare lezione in una calda notte estiva.

Giardino Botanico a Shiraz
Gli Iraniani sono nemici dell’Occidente:
Una volta una persona mi ha detto che c’è più differenza tra un ventenne inglese e un quarantenne inglese (con buona pace dei quarantenni giovanili) che non tra un ventenne inglese e un ventenne russo.
Diciamo che c’è un periodo nella vita in cui diventa molto importante avere la scritta giusta sulla maglietta, il brand che ti fa sentire figo, il simbolo che ti fa appartenere a un mondo. Non essendo dotati di un verso per segnalare la disponibilità all’accoppiamento, dobbiamo scriverci delle cose addosso e sperare che parlino la lingua corretta. Ecco, se sei un giovane iraniano e intorno a te c’è l’embargo dei prodotti occidentali è un bel problema, ma crea anche le soluzioni più divertenti che ti capita di vedere in giro.
Ho visto un gruppo di ragazzi chic e tecnologicamente evoluti vestiti con il celebre brand: Giorgio Armani, www.giorgio.it, perché è il sito che fa la differenza
Altri, sempre spendaccioni ma con l’anima sportiva, avevano la famosa tuta: Giorgio Armani Adidas oppure Giorgio Armani Nike, perché gli iraniani conoscono il valore della democrazia.
Adidas tra l’altro produce in Iran una linea che non conoscevo, la Saltimbanco, con una scritta che occupa due righe e dice “The only fashion shaoyu design vershion brand for Sports Medicine & Orthopaedics”. Giuro.
Alcuni, più hipster, fanno meno sfoggio dei global brand, ma si giocano frasi accattivanti come il gaudente “Work Hard, Part Harder”, che temo significhi qualcos’altro rispetto a quello che immagino, l’esortativo “Be Shart”, volentieri se mi dici come, o il metafisico “I can’t stop living you”, con accanto tra l’altro l’immagine di una bici.
Ma la più misteriosa di tutte è questa, se qualcuno ha idea di cosa significhi, gli sarò infinitamente grato

T-Shirt Fly Vivere a Kashan
Non posso garantire che chiunque vada in Iran veda le stesse stranezze e vivere le stesse emozioni, ma questo è il percorso che abbiamo fatto noi, con indicazioni di mezzi di trasporto, alberghi e ristoranti.
[Disclaimer: la passione per gli elenchi mi è venuta leggendo tempo fa il bellissimo libro di Erland Loe “Naif.Super” e mi sembra il caso di rispolverarla in seguito a un viaggio in alcuni paesi Scandinavi. In realtà ho scoperto sull’ottima free press islandese “The Reykjavik Grapevine” che c’è tutto un dibattito in corso se Islanda e Fær Øer facciano o no parte della Scandinavia, con un simpatico elenco di supporti e negazioni che sono certo piacerebbe a Loe].
Onestamente non avevo una chiara idea di dove e cosa fossero le Isole Faroe: possedevo solo un ricordo dall’atlante che me le metteva bene a nord e bene in mezzo a niente, e una recente notorietà per una partita di calcio.
Come a volte succede negli incontri fortunati con gli estranei, mi hanno sedotto e insegnato alcune cose che vorrei conservare:
- Bisogna sapere cambiare idea per scoprire qualcosa di nuovo
Ci siamo trovati al porto di Klaksvik con qualche ora di attesa per prendere un traghetto e abbiamo chiesto informazioni per visitare Mykines il giorno dopo. Alle Faroe, dove il concetto di isola viene inteso nella sua purezza, ogni ufficio informazioni pare conoscere solo la propria zona e vive l’isolotto accanto come una meta esotica. Le varie chiamate ci hanno portato a scoprire che esistono solo due barche per andare e due per tornare, che non c’era più alcun posto per l’indomani, e che in giornata c’erano posti solo per andare, ma non per tornare. Poche cose accendono il desiderio quanto la scarsità e l’impedimento, per cui abbiamo capito che volevamo assolutamente andare a Mykines. Altro giro di chiamate e abbiamo scoperto che non era più possibile nemmeno dormire sull’isola, a meno che, ci informa la gentile signorina, non siamo disposti ad alloggiare in una unfinished house (sic) di un suo conoscente. Scusi, possiamo richiamarla tra qualche minuto? In quei minuti cinque persone si sono messe a disegnare sul cruscotto dell’auto uno scenario di unfinishness per capire se andare o no: il tetto è importante, il bagno pure, i materassi già meno, il resto non conta. Ci risponde che roof yes, wc yes, mattress on the floor. Allora cambiamo programma, rimandiamo il traghetto, rinunciamo alla notte già pagata, torniamo sui nostri passi, rifacciamo lo zaino, ci imbarchiamo da un diverso porto e scopriamo un’isola meravigliosa, con le nuvole che finalmente si aprono e il sole che ci mostra il mare, le rocce, i prati, gli animali, il faro, l’orizzonte.

- A volte basta voltare angolo per trovare ciò che si cerca
A Mykines per imboccare la strada verso il faro occorre fare subito una grande salita, di quelle che sogni da piccolo con la neve se hai un bob o anche solo un sacchetto della spazzatura. Una volta messo in chiaro che per arrivare in fondo occorre sgobbare, si alternano tratti pianeggianti, scale e rocce a strapiombo sul nulla. Proprio ammirando il mare che batte la pietra che gli resiste, abbiamo avvistato le prime pulcinelle di mare, piccole e un po’ nascoste: è un’emozione inaspettata quando ti trovi davanti una nuova forma di vita per la prima volta e ti rendi conto di quanto noi siamo solo un esempio (ingombrante) di una varietà infinita. [Questo discorso non vale per tutta la varietà di blatte milanesi che non sono curioso di incontrare dal vivo]. Iniziamo a scrutarli da lontano, i fotografi si passano il tele, gli altri dicono che belli che sono, sommando l’immagine un po’ distante del presente alle fotografie viste prima di partire e si resta così, con i piedi ancorati all’erba e la faccia nel vuoto, a pensare ecco oggi è il giorno in cui ho visto una pulcinella di mare. Poi si cammina ancora un po’ e si volta un angolo. Lì, in un prato verdissimo, con una leggera pendenza come un trampolino appena usato, ci sono centinaia di pulcinelle che planano, atterrano, si guardano in giro. Gli cammini accanto, ti fermi tutto il tempo che vuoi e pensi ecco oggi è il giorno in cui ho camminato in mezzo a centinaia di animali che fino a ieri non avevo mai visto e che in realtà non si stavano nascondendo, si erano solo accomodati da un’altra parte.

- Essere disposti a non avere il controllo aiuta a rilassarsi
Ormai ho imparato a giocare a tetris con il tempo. Posso segnarmi gli appuntamenti sulla posta elettronica e accedervi ovunque, posso farmi avvertire delle scadenze e di quello che devo fare, posso incastrare in un foglio online gli impegni miei e dei miei amici. Finisco per pensare che il tempo sia mio più di quanto sia viceversa. Poi arrivo alle Faroe e scopro che forse atterreremo, oppure no, e la cosa non è così improbabile e in tal caso andremo via nell’aeroporto più vicino, che non è nemmeno quello da cui siamo partiti, ma è in Scozia o in Norvegia: in cabina di pilotaggio fanno pari o dispari? Poi arrivo a Mykines e scopro che oggi la nave è riuscita ad attraccare, ma forse domani no, forse si resta lì, per un po’ di ore, per un giorno, per più giorni: tu lo sai dire quanto ci mette il mare a piegarsi ai nostri desideri? Devi sapere aspettare che si riparta e non prendere troppi impegni. Alla fine quando si arriva nell’unico “ristorante” e si chiede una cena per cinque e in tutta risposta la proprietaria, cuoca e cameriera apre il frigo e controlla quanti hamburger ha, non ti sorprendi nemmeno tanto e pensi che chi ha detto che volere è potere era probabilmente più un capriccioso che un saggio.

- Dare fiducia degli estranei e ai marinai ti porterà lontano
Arrivi in aeroporto e cerchi la persona che immagini dovrà darti le chiavi dell’auto, ti chiama e passo a passo ti guida fuori dall’aeroporto, verso il parcheggio, verso una fila precisa, verso un’auto e dice ecco, aprila, le chiavi sono dentro, buona vacanza. Del resto, quando riconsegni l’auto, una esile ragazza ti chiede quante volte hai attraversato i tunnel a pagamento, tu rifletti, dici la cifra e lei dice quanto devi pagare: la soddisfazione non è risparmiare dei soldi, ma capire che la regola è fidarsi degli estranei. Ecco perché impari a entrare nelle case dove vedi la porta aperta per chiedere dove inizia il sentiero, o quando si avvicina un vecchio marinaio dagli occhi ancora vispi e che dell’Italia conosce Civitavecchia, gli dici marinaio, tu adesso dove andresti con questo sole splendido? E ti dirigi dove va lui a vedere il tramonto e resteresti lì per ore, ma tanto il sole sembra d’accordo, perché si sdraia incollato all’orizzonte finché gli va. Il marinaio lo aveva detto con orgoglio che quello era il suo posto preferito e che ha girato tanto ma sempre lì torna. La guida invece non diceva niente.

- E se la morte può fare un po’ meno paura, allora davvero non so
Non so se mi angoscia di più la morte o i cimiteri, diciamo che già mi costa fatica scrivere entrambe le parole. Ogni volta che qui trovi un paese noti che le case si sparpagliano liberamente, come coriandoli gettati su un prato. Nessuna però si merita l’ultimo posto, quello più in basso, quello con la vista mare ininterrotta. Lì c’è la chiesa, ma anzi no, nemmeno la chiesa è l’ultima, perché dopo la chiesa c’è il cimitero ed è quello il punto più bello, accanto a cui ti viene voglia di sostare. Sarà anche che le croci sono sparpagliate come le case, come se ognuno volesse godere di una propria vista personale, anche a costo di stare un po’ storto. Non posso dire che sarei felice dell’idea di essere seppellito qui, perché sono un codardo che crede di non temere solo la vita eterna, ma penso che, se fossi seppellito qui, chi c’è ancora sarebbe meno triste a fermarsi e a passare un po’ di tempo accanto a me.

Per chi volesse una descrizione più dettagliata del viaggio, con spostamenti, passeggiate, nomi delle isole e dei luoghi che abbiamo visto, ho condiviso una mappa su GoogleMaps.
View Milano – Berlino – Copenaghen – Isole Faroe in a larger map
Quasi tutte le foto sono di Ishmael78