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La dimensione del gioco attrae da tempo le aziende alla ricerca di nuove modalità per entrare in contatto con i consumatori. Federico Fasce in una presentazione fatta al Game Camp di Riva del Garda sintetizza questa attrazione fatale in 3 motivi: i numeri e dati che tutti i giochi forniscono, la generazione homo ludens che è molto più mainstream di quanto non si pensava frettolosamente anni fa, e la “blissful productivity”, una sorta di impegno produttivo ad alto gradimento.
All’inizio sembrava che l’unica soluzione possible fosse quella di inserire pubblicità all’interno dei giochi, forma di pubblicità che non è mai veramente decollata per i dubbi sulla sua reale efficacia, nonostante esempi illustri, come quello di Obama con Burnout Paradise; altri invece hanno iniziato a produrre i loro propri giochi, nel caso di Burger King con successo, grazie a investimenti cospicui che non tutte le aziende sono in grado o hanno intenzione di intraprendere. Oggi invece l’ultima novità, su cui personalmente scommetterei due soldi in più rispetto all’in-game advertising, è quella di inserirsi all’interno dei social games non tanto come pubblicità, ma come elemento ludico integrato nel gioco. LaFra ha realizzato una presentazione che ben riassume le potenzialità di target, business e advertising di Farmville, il social game di gran lunga più popolare al mondo.
Bene, un paio di settimane fa su Farmville è arrivato uno dei più grandi nomi a livello mondiale, ovvero McDonald’s, con una interessante meccanica di comunicazione. Attraverso la sua fanpage (si chiama ancora così?) su Facebook ha annunciato la creazione di una Farm speciale che sarebbe durata un giorno soltanto. La fattoria era segnalata ai giocatori anche attraverso la label “my neighbors”. Durante questa giornata i giocatori di Farmville hanno potuto coltivare i semi di pomodoro e senape (“scusi, mi può dare il ketchup con il cheeseburger?”), ricevendo in cambio una tazza di caffè, ovvero un super potere per potersi muovere più velocemente all’interno della propria fattoria, e una mongolfiera per abbellire il proprio spazio di gioco.
Leggendo qua e là tra i commenti online alcuni sostengono anche che un’operazione del genere possa aiutare la percezione di naturalità dei prodotti del Mc: personalmente credo sia un po’ troppo sofisticata come conseguenza, anche perchè la maggior parte dei giocatori di Farmville non sono per forza amanti del cibo organico, ma più semplicemente mi ricorda in modo ludico e quindi efficace sia il brand sia alcuni suoi prodotti.
Come ha detto il fondatore di Appssavvy, la società che ha realizzato l’operazione: “McDonald’s on FarmVille represents the re-thinking of the delivery and reception of advertising. Today it is about understanding the social activity taking place and only then figuring out a way to join relevantly through value-added marketing, which McDonald’s has done to perfection.”
Semplice, ludico, social.




Non giochiamo per fare vedere quanto siamo bravi, ma per fare vedere che non siamo così scarsi.
Questo è più o meno quanto ha affermato a proposito di Farmville Brian Reynolds, chief game designer del celebre social games di Zynga, durante il Dice Summit. Reynolds in modo provocatorio ha voluto ribaltare un assunto strettamente legato al gioco: giochiamo per divertirci e più ci divertiamo più continuiamo a giocare.
Niente affatto, quando parliamo di social game, game non è uguale a fun, bensì a embarassement. E lo sostiene uno che ha capito come fare giocare 87milioni di persone (più degli utenti mondiali di Twitter, per intenderci), non una volta, ma nei mesi, e non sono una console, ma su un social-network.
“If I don’t come back, not only do I lose my investment of my time and my gold, but I’m shamed. I look bad in front of my friends when they come to visit my farm… We’re social animals and we don’t want to be shamed in front of our friends”, come riporta Kotaku.
Per capire la sua affermazione proviamo a pensare alle scuole superiori: non tutti hanno avuto la fortuna di essere già popolari, sicuri di sé e capitani della squadra di calcio, la maggior parte di noi si è dovuta arrabattare tra fisici gracili, acne e insuccesso con l’altro sesso. Ecco, secondo Reynolds, una sensazione simile è ancora possibile su Facebook – che non ha caso è nato proprio per tenere i contatti con i compagni di scuola e dove, volenti e nolenti, a tutti sarà arrivata la proposta di una rimpatriata.
Se in casa nostra, con la nostra console possiamo fallire la pista arcobaleno di Mario Kart o continuare a fare mille volte lo stesso errore per finire un puzzle di Braid e nessuno ci può giudicare, Facebook è proprio il luogo online in cui per eccellenza siamo noi stessi, non con un nick ma con un nome e un cognome, con il nostro compleanno, le nostre foto e i like alle cose che ci piacciono, e questa nostra identità online è sotto gli occhi di tutti e ci rappresenta: quindi, chi vuole essere rappresentato da un campo di patate mal coltivato, pieno di erbacce? Forse dedicarsi al raccolto non è così divertente, ma certo mostrare a tutti di non sapere gestire il proprio terreno equivale a inciampare e cadere davanti ai compagni durante la partita di basket a educazione fisica.
Ci si impegna a Farmville soprattutto per evitare l’imbarazzo che può rendere così forte solo un contesto social in cui ci mettiamo la faccia: quando parliamo di social game, “social comes first”.
In definitiva, speriamo che tutti passino sul nostro profilo a vedere quanto è bello il nostro orto per scacciare l’incubo di quei momenti in cui non si veniva invitati alle feste o si finiva vittima del lancio della coca-cola come in Glee:
http://www.youtube.com/watch?v=Zc03jGtOh9I&NR=1
Questo post è pubblicato anche su Invaders Den, uno spazio online in cui riflettere sul panorama ludico, il linguaggio dei giochi e altro ancora.
Ultimamente si è parlato molto dello storico sorpasso di Facebook su Google: certo alcuni hanno fatto notare che la notizia racconta solo una parte della verità, ma è indubbio che ormai il social networking sia una delle principali attività online e che Facebook per molti sia diventato sinonimo dell’interno web.
Questo fenomeno ovviamente interessa molto anche alle aziende che cercano di utilizzare Facebook come piattaforma di relazione e/o comunicazione: se infatti vi sono già meccanismi abbastanza consolidati per il posizionamento su Google, in termini di search engine marketing, per riuscire ad avere visibilità nei profili degli utenti occorre che questi ultimi compino direttamente un’azione per aprire la porta della loro casa, in cui si ritrovano con gli amici.
Alcuni esempi interessanti in questo senso sono legati ai games.
Il primo è Prototype, un action-adventure dell’Activision, uscito da noi lo scorso giugno. Andando sul sito del gioco e utilizzando Facebook Connect si ha una piacevole sorpresa: tra le proprie foto caricate online, ne vengono scelte casualmente alcune che poi sono inserite nel trailer del gioco. Nel trailer personalizzato vengono utilizzate anche le informazioni personali che si sono rese pubbliche su Facebook, aumentando la sensazione di essere veramente parte della storia. Inoltre alcune persone presenti nelle nostre foto vengono praticamente cancellate, coerentemente con la trama di Prototype: il gioco si svolge infatti in una New York infestata da un’epidemia che trasforma le persone in mostri.
Per esempio nel mio caso tra le foto selezionate ce ne è una buffa in cui mimo una scena dell’orrore con una ex-collega (non so se si tratti di fortuna o abilità) e hanno cancellato la faccia di una mia amica mentre ci atteggiamo come i ragazzi di Glee. C’è qualcosa di Scary Movie in tutto questo.
Ovviamente alla fine viene fornita l’opportunità di mostrare ai propri contatti questo video, e trattandosi non di una forma di pubblicità ma di un contenuto di entertainment dove le persone vengono messe al centro dell’azione e dell’attenzione, diventa uno stimolo mostrarlo ai propri contatti ed entrare quindi a fare parte della campagna.

Il secondo esempio è legato al film Tron: Legacy, che racconta la storia di Sam Flynn impegnato nelle indagini sulla scomparsa del padre Kevin, ex dipendente della ENCOM, società per la quale realizzava video games. Trattandosi del seguito di un famoso film degli anni ’80 che ha dato vita anche ad alcuni video game, insomma un classico per nerd di diverse generazioni, gli autori hanno dato vita a un viral game, ovvero una sorta di ricerca di Kevin online basata su tracce e indizi che vengono dati a poco a poco sul sito. Questa operazione ricorderà a molti l’ARG ideato per The Dark Knight.
I progressi nella ricerca del personaggio scomparso possono essere mostrati ai propri amici sempre via Facebook Connect. Personalmente sarei stato fiero di riuscire a risolvere un “livello” tanto bello quanto frustrante (per chi non ci riesce): aggirarsi per una grande città di pixel e riconoscere i 56 video games che si incontrano nel percorso. I vincitori vengono assunti alla ENCOM e ricevono un badge per partecipare a una festa a San Francisco. Come lo so? Perchè qualcuno ce l’ha fatta e giustamente se ne vanta.

L’ultimo caso che mi ha colpito viene invece da Israele e a differenza degli altri non parte da un gioco per arrivare a Facebook, ma usa un gioco di Facebook per portare al prodotto. Si tratta di una campagna per lanciare la variante alle noccioline di uno snack al cioccolato, tale Elite Taami Nutz: Zynga, i creatori del fenomeno Farmville, renderanno disponibile dal 14 aprile il primo raccolto sponsorizzato, proprio quello di noccioline, che finora mancava nel gioco. Oltre ai semi ci sarà anche una sfida in cui si chiederà ai farmer di usare creativamente il raccolto all’interno della propria fattoria.
Per chi fossi interessato, Mashable ha pubblicato anche i prezzi dei semi: costano 20 crediti, si vendono per 78 crediti e il raccolto viene ottenuto in 16 ore.

In sintesi, questi tre esempi mostrano a mio avviso tre vie per essere visibili su Facebook:
- utilizzare il materiale già caricato e generato su Facebook in maniera ludica e personalizzata
- creare dei livelli di sfide progressivi e fornire badge da mostrare
- inserirsi in modo coerente e costruttivo in un contesto già affermato aggiungendo nuove feature
Conoscete altri esempi che ritenete interessanti?






Chi non ha mai provato almeno una volta a giocare su Facebook? Citando i più famosi e diffusi, probabilmente vi siete impegnati con Word Challenge, Geo Challenge, Pet Society, FarmVille: se siete curiosi qui trovate una serie di dati giochi più diffusi sulla “console” di Zuckerman. Io confesso di avere avuto un infiammazione alla spalla a forza di anagrammare parole con word challenge per battere i miei contatti Facebook: posso sopportare di essere scarso quando sono solo con la mia console, ma non davanti agli amici. Gli amici vanno pubblicamente battuti, si sa. Tra l’altro la nuova homepage di Facebook rende più evidenti i nuovi giochi disponibili e quelli a cui stanno giocando gli altri.
Il potenziale di diffusione e crescita di questi games è testimoniato anche dall’acquisto di Playfish (autrice di Restaurant City per citarne uno) da parte dell’Electronic Arts. Fin qui però il modello di business di questi games è essenzialmente legato all’advertising che può essere inserito a fine gioco, anche se non so quanto sia stato sfruttato e con quali risultati.
Due recenti casi possono però aprire la strada verso nuove direzioni.
Il primo è uno stimolo della Coldiretti che durante un incontro promosso dai giovani imprenditori ha sottolineato un possibile legame tra il successo di FarmVille e l’aumento di interesse verso la coltivazione diretta. Sempre più giovani e professionisti si stanno appassionando alla coltivazione e gestione di un pezzo di terra (che, come ci ricorda Rossella O’Hara, è sempre una garanzia) attraverso il gioco su Facebook e sono in crescita anche coloro che si danno all’agricoltuta come hobby. Alla coltivazione segue poi, nella maggior parte dei casi, la trasformazione dei prodotti in marmellate, olio, vino, etc… Con questo non si vuole dire che chi gioca a FarmVille vuole necessariamente coltivare della terra vera, ma piuttosto che questi giochi potrebbero rappresentare dei touch point non solo per intercettare generici giocatori, ma per seguire interessi specifici legati al tema del gioco, magari attraverso forme di keyword advertising o sponsorizzazioni.
Il secondo caso viene sempre da FarmVille e riguarda il terribile terremoto che ha colpito Haiti il mese scorso. Zynga, la software house che realizza il gioco, ha realizzato una raccolta fondi facendo acquistare beni virtuali ai giocatori durante il gioco e devolvendo il ricavato allo U.N’s World Food Programme. Come si vede nell’immagine qui accanto la donazione era perfettamente integrata nel gioco e consentiva tra l’altro dei benefit effettivi al giocatore (per esempio aumentare i proprio soldi virtuali).
Zynga ha dichiarato di avere raccolto in 5 giorni 1 milione e mezzo di dollari, che FarmVille da solo ha raggiunto 1 milione e che hanno donato 300.000 giocatori di 47 paesi diversi, come ho già scritto qui.
Certamente l’impatto emozionale del terremoto e il coinvolgimento di una causa no-profit sono due fattori fondamentali del successo dell’iniziativa, ma mostrano anche nuove opportunità di business per le aziende qualora vengano rispettate e anzi valorizzate le dinamiche di gioco.