Sono diventato uno che si fida così tanto di internet da pagare più di 100€ senza sapere cosa acquisto, affidandomi solo al giudizio degli sconosciuti. E non è stata la follia estemporanea di un viaggiatore annoiato! Sono pure recidivo: l’ho fatto di nuovo e poi ancora una volta.
Ho pagato la stanza in un albergo di cui non sapevo nemmeno il nome tramite Hotwire e il sito ha svelato l’anonimato solo dopo la transazione: è stato come ricevere un pacco regalo a sorpresa che però ho comprato io.
COS’E’ E COME FUNZIONA
Hotwire è un sito di prenotazione di camere di albergo invendute – ma anche voli aerei, auto a noleggio e vacanza intere – che vengono mostrate in forma anonima, classificate per prezzo, stelle o raccomandazioni. Selezionando la città in cui il servizio è disponibile e le date di arrivo e partenza si accede a una tipica schermata di risultati, ma senza il nome degli hotel, tutto anonimo. Si vede il costo, lo sconto rispetto al prezzo pieno, i servizi che offre l’hotel, la media delle recensioni che vengono dal sito e soprattutto la sintesi dei giudizi su Tripadvisor: es. una media di 4 con oltre 500 recensioni.
L’integrazione con Tripadvisor è molto intelligente perché fa sembrare l’albergo più “reale” e rende la scelta più rassicurante: in fondo se ha oltre 200 recensioni non può essere una scatola con un mattone dentro… Quando non abbiamo nessuno a cui chiedere, la media delle esperienze degli altri è un criterio di cui abbiamo imparato a fidarci.
USER EXPERIENCE
Non basta l’idea, i servizi devono essere usabili e Hotwire sembra fatto rispondendo alle domande che ho in mente. Nell’homepage si trova solo il campo di selezione del servizio desiderato; la ricerca può essere affinata scegliendo i servizi che l’hotel deve necessariamente avere – possiamo richiedere una piscina anche senza sapere dove e come – e soprattutto per le macro zone in cui il sito suddivide la città.
Questo è il massimo del controllo dell’utente, dopo di che è solo questione di ranking, intuito o casualità. Un esempio: a Londra ho chiesto che l’albergo avesse la palestra e che fosse o in zona “Bloomsbury – S. Pancras – British Museum” oppure “Notting Hill – Bayswater – Paddington”: zone abbastanza ampie, ma ragionevoli per un turista esperto. Ho scelto il primo risultato dell’elenco, ho pagato e ho subito ricevuto una mail da Hotwire che mi dava il benvenuto al Caesar Hotel. Ho cercato Caesar Hotel su Tripadvisor, tutto mi sembrava ok e ho sorriso.
Non esiste possibilità di rimborso. Scopro che l’albergo è infestato dai fantasmi o è apprezzato solo da chi si addormenta col rumore dell’autostrada? Fatti miei.
Per fortuna è stato un bellissimo weekend:

PERCHE’ MI PIACE E LO USO
Il motivo principale per me è che aggiunge un tocco inaspettato a una ricerca che sempre più spesso è diventata lunga e complicata. Anni fa per sapere dove dormire a Londra avrei chiesto ad amici, oppure avrei consultato una guida o chiesto in agenzia e quindi avrei avuto davanti un numero limitato (già filtrato) di scelte; oggi generalmente parto da Booking e da una lunga lista capisco disponibilità, prezzi e location, poi mi leggo un po’ di commenti per ridurre l’elenco, poi passo alla lettura delle recensioni su Tripadvisor per arrivare al finalista, ma le opinioni cominciano a diventare tante e discordanti, devo capire chi dà importanza ai miei stessi criteri e chi è un viaggiatore diverso da me, e con tutte queste informazioni la scelta non mi sembra più agevole ma più complessa.
C’è da aggiungere la piacevole sensazione di avere accesso con Hotwire a hotel che o non potrei permettermi o che hanno un prezzo che non mi interessa pagare, mentre ho davanti a me un’occasione che si presenta in quel momento, in futuro chissà. L’anonimato è uno strumento per proteggere gli hotel, che in questo modo non comunicano da nessuna parte lo sconto che stanno praticando in quel momento, e non compaiono nei risultati di motori di ricerca e siti di viaggi.
Infine ho fatto più di un acquisto perché mi sono sempre sentito un ospite come tutti gli altri, anche se non acquisto dall’hotel e pago una cifra inferiore. È l’esatto contrario della sensazione Groupon: “ah siete clienti Groupon, abbiamo posto tra 12 anni” o “voi avete diritto al bagno al piano meno tre” o “potete bere l’acqua che rimane sugli altri tavoli altrimenti sono 15€ a bottiglia”. Allo Sheraton di Monaco al contrario avevo la camera all’ottavo e ultimo piano, segnalato come piano dei “preferred guests” già in ascensore. Quando si viaggia, questi dettagli gratificano.
COSA MIGLIOREREI
Prima di tutto ci ho messo mesi a memorizzare il nome, come spesso mi succede con i servizi digitali, che hanno nomi che sembrano più da rock band emergenti che non legati a quello che offrono.
Ci sono poi due elementi di post-acquisto che non mi convincono. Primo, il sito non stimola in alcun modo la richiesta di recensioni dopo il soggiorno: mi pare un’occasione sprecata dato che le recensioni sono quasi l’unico criterio per rassicurare sulla qualità dell’albergo. Da questo punto di vista trovo eccellente il customer care di AirBnB, che dopo il soggiorno invita ripetutamente ospite e ospitato a popolare il sito di commenti, e li rende visibili sono quando sono reciproci, mentre trovo mediocre quello di Booking, che continua a mandarmi via mail offerte per città dove ho già soggiornato proprio attraverso il sito, quindi dovrebbero sapere che quella ricerca è conclusa…
Secondo, l’esperienza di post-acquisto è poco ludica e mi pare un’occasione sprecata: la ricerca deve essere facile e chiara, ma nella schermata dopo l’acquisto e nella mail che viene inviata potrebbero aggiungere tocchi più briosi legati al brivido della sorpresa, mentre lo stile è di una qualsiasi agenzia viaggi, anzi meno personale.
In sintesi Hotwire mi sembra un ottimo esempio di quanto abbiamo imparato a fidarci del web. Una volta per andare in un ristorante o per comprare un libro, ci fidavamo degli amici o dei super esperti o facevamo il contrario dei nostri nemici. È l’hamburgeria preferita di Salvini? Addio. Oggi non solo non entriamo in un ristorante senza avere controllato Tripadvisor, ma arriviamo a pagare, e non poco, un albergo senza saperne nulla, fidandoci di una visione parziale dei pareri di perfetti sconosciuti e di un sito che funziona bene.
Mi sento pronto per il dark web.
In un bellissimo caravanserraglio divenuto albergo abbiamo trovato un questionario dell’Università di Teheran sui motivi che spingono le persone a visitare e non visitare l’Iran come metà turistica. Accanto a quelli più ovvi come “si sta allentando la tensione con gli USA” oppure “le donne sono obbligate a coprirsi il capo” uno mi ha particolarmente colpito: “penso che viaggiare in Iran mi dia status”.
L’Iran evoca immagini che ti fanno sentire un viaggiatore non banale: meta poco esplorata e civiltà millenaria, rozzi uomini politici e raffinati registi o scrittori, confusa zona del mondo in cui non si capisce mai chi sono i buoni e chi sono i cattivi.
In realtà l’Iran è un paese che prima di tutto mi ha sorpreso, ha preso le mie idee e le ha lentamente cambiate, mi ha dato status senza che me lo meritassi veramente.
Non bisogna dare retta agli sconosciuti con la barba nera:
Entravamo nelle moschee con la prudenza di chi non conosce le regole, sapendo solo di doverci togliere le scarpe. Pensavamo di dovere stare muti e contriti e di generare comunque un po’ di sospetto con le nostre facce bianche. Si è avvicinato un signore di mezza età, vestito di scuro, coi baffi e la barba, un classico caratterista musulmano di qualsiasi serie tv. Ci ha chiesto se conoscevamo la Moschea di Yazd e se poteva avere l’onore di spiegarcela. Attorno a noi sono arrivate una decina di persone, tra adulti e bambini: erano la sua famiglia. Ci andava di fare un giro con loro per la città di notte? La moglie della nostra guida era molto elegante, i bambini ridevano di gusto, i ragazzi più grandi volevano fare vedere di sapere parlare bene l’inglese, ma senza correggere i genitori, per rispetto. Ci hanno portati a spasso in una città affasciante e labirintica, tutta costruita col fango, tra torri del vento, vie buie, piazze con giochi arrugginiti e porte da calcio. Quando dovevamo entrare in qualche monumento andava avanti la signora per dire al bigliettaio che noi eravamo loro amici e farci entrare gratis come gli iraniani.
Erano una famiglia metà iraniana e metà irachena, la guerra del golfo li aveva divisi e da allora le giovane generazioni non si erano mai conosciute, fino a quella sera a Yazd, che loro hanno voluto condividere con due italiani, parlando inglese, arabo e Parsi.
Alla fine ci hanno salutato così: “ma voi avete Facebook? Allora possiamo diventare amici?”.

Prigione di Alessandro
In Iran sono tutti fanatici religiosi
In taxi, nei ristoranti, per strada, in casa varie persone ci hanno chiesto se eravamo religiosi per poterci dire che loro no, non lo erano. Ne ricordo una.
Una signora coi capelli bianchi, verso i 60 anni, elegante. Parlava un bell’inglese perché prima del ’79 aveva amici americani. Aveva una forte passione per la musica e mi ha insegnato il modo in cui gli iraniani schioccano le dita per accompagnare i balli. Eravamo in una casa privata e quindi abbiamo potuto ballare. Io imbarazzato e goffo, lei soddisfatta e sinuosa. Mi ha confessato di quanto le piaccia ballare, ma che ora può farlo solo in casa: anche ai matrimoni uomini e donne festeggiano separati. Mi ha raccontato di quando era giovane e andava al mare in costume, insieme a sua madre, e ora non più. Mi ha detto di essere atea e di quanto sia difficile vivere in un paese che ti proibisce di fare qualcosa che ami in nome di qualcosa a cui non credi. Mi ha confidato che gli Iraniani vivono una vita pubblica che è quella che ci aspettiamo noi Occidentali e il loro Governo, e una vita privata dove bevono alcol, ballano e indossano pantaloni corti. Va tutto bene, purché non si veda fuori e non si pretendano diritti. Nel mio piccolo ho sentito che avevamo in comune più di quanto io e lei ci saremmo aspettati, con la sola differenza che di noi due solo lei sapeva ballare.
Le donne musulmane non ti rivolgono la parola:
La tomba del poeta è uno dei luoghi più amati dagli iraniani. Anche chi non abita a Shiraz ti chiede se ci sei già stato e ti invita a farlo il prima possibile. Si tratta di un semplice e bel giardino, con piante, alberi, panchine e al centro una pietra commemorativa di questo poeta edonista.
Dal tramonto centinaia di iraniani si riversano nel giardino a trascorrere la serata, passeggiata, leggendo i versi di Hafez e scattandosi foto improbabili. Tra i giovani il selfie con la tomba va fortissimo.
Siamo rimasti un po’ distanti a guardare questi momenti quotidiani e speciali allo stesso tempo, quando si sono avvicinate due ragazze, molto belle e eleganti e ci hanno, come diremmo noi, abbordato. Ci hanno tempestato di domande (la più frequente domanda in tutto il viaggio è stata “ma cosa si dice da voi degli Iraniani? Pensate che siamo tutti terroristi?”) e ci hanno detto che per loro è una fortuna potere parlare con degli stranieri e esercitare l’inglese. Quando ci hanno invitati ad andare a cena con loro, abbiamo pensato che va bene sfatare i cliché, ma qui si esagera. Non sono passati più di cinque minuti che è arrivata un’altra ragazza con la madre e ci ha chiesto se eravamo francesi. No. Sapevamo parlarlo? No. Avevamo notato qualche francese? Lei voleva tanto esercitare un po’ di conversazione, per caso noi eravamo stati a Parigi?
E siamo passati la sera così, tra persone che si scattavano foto ricordo, giovani che cercavano stranieri per fare lezione in una calda notte estiva.

Giardino Botanico a Shiraz
Gli Iraniani sono nemici dell’Occidente:
Una volta una persona mi ha detto che c’è più differenza tra un ventenne inglese e un quarantenne inglese (con buona pace dei quarantenni giovanili) che non tra un ventenne inglese e un ventenne russo.
Diciamo che c’è un periodo nella vita in cui diventa molto importante avere la scritta giusta sulla maglietta, il brand che ti fa sentire figo, il simbolo che ti fa appartenere a un mondo. Non essendo dotati di un verso per segnalare la disponibilità all’accoppiamento, dobbiamo scriverci delle cose addosso e sperare che parlino la lingua corretta. Ecco, se sei un giovane iraniano e intorno a te c’è l’embargo dei prodotti occidentali è un bel problema, ma crea anche le soluzioni più divertenti che ti capita di vedere in giro.
Ho visto un gruppo di ragazzi chic e tecnologicamente evoluti vestiti con il celebre brand: Giorgio Armani, www.giorgio.it, perché è il sito che fa la differenza
Altri, sempre spendaccioni ma con l’anima sportiva, avevano la famosa tuta: Giorgio Armani Adidas oppure Giorgio Armani Nike, perché gli iraniani conoscono il valore della democrazia.
Adidas tra l’altro produce in Iran una linea che non conoscevo, la Saltimbanco, con una scritta che occupa due righe e dice “The only fashion shaoyu design vershion brand for Sports Medicine & Orthopaedics”. Giuro.
Alcuni, più hipster, fanno meno sfoggio dei global brand, ma si giocano frasi accattivanti come il gaudente “Work Hard, Part Harder”, che temo significhi qualcos’altro rispetto a quello che immagino, l’esortativo “Be Shart”, volentieri se mi dici come, o il metafisico “I can’t stop living you”, con accanto tra l’altro l’immagine di una bici.
Ma la più misteriosa di tutte è questa, se qualcuno ha idea di cosa significhi, gli sarò infinitamente grato

T-Shirt Fly Vivere a Kashan
Non posso garantire che chiunque vada in Iran veda le stesse stranezze e vivere le stesse emozioni, ma questo è il percorso che abbiamo fatto noi, con indicazioni di mezzi di trasporto, alberghi e ristoranti.