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Il recinto sociale

§ giugno 20th, 2011 § Filed under Social Media § Tagged , , , , , , § 5 Comments

L’anno scorso ho avuto la brillante idea di mettere il mio buon vecchio Nokia in lavatrice e stranamente non è sopravvissuto: superato il lutto ho fatto il salto verso uno smartphone pensato più per connettersi che per telefonare e un po’ alla volta ho iniziato a modificare alcuni comportamenti. Ad esempio bevendo il caffè a tavola una volta sfogliavo un quotidiano o una rivista e mi aggiornavo su quello che succede nel mondo, mi soffermavo su qualche approfondimento, curiosavo nella posta dei lettori (sempre amata). Ora mi capita molto più spesso di muovermi tra le applicazioni dell’iPhone e leggere gli status su Facebook, controllare cosa condividono i miei contatti su Twitter o mettere like su Instagram.
Idealmente ho la possibilità di fare le stesse cose di prima utilizzando un diverso supporto e anzi ho davanti a me una maggiore varietà di contenuti fruibili e quindi di scelta. Di fatto, però, il modo in cui questi contenuti sono offerti, i luoghi in cui sono disponibili e le possibilità di condivisione degli stessi influenzano in modo non neutro le mie capacità di conoscerli.
Come l’esploratore che si trova in mare aperto ha bisogno di una bussola per orientarsi, cerca nel cielo punti di riferimento e controlla la rotta giusta nelle mappe di chi ha navigato prima di lui, così online noi abbiamo bisogno dei motori di ricerca per trovare quello che vogliamo, selezioniamo nei feed i nostri punti di riferimento e controlliamo sui social network quello che segnalano gli altri.

Uno dei motivi per cui mi sono appassionato a Facebook, Twitter e Friendfeed è il loro possibile utilizzo come filtro sociale delle informazioni: non riuscendo a controllare sempre tutto, faccio in modo che gli altri mi aiutino a capire cosa è rilevante con le loro selezioni condivise, lasciando il resto in secondo piano. E già potrei chiedermi: ma è vero che non riuscirei a controllare le informazioni altrimenti o piuttosto ho trovato un modo più comodo (pigro?) per riceverle e quindi mi affido a questo?
Se il mio accesso alla rete oggi parte dai social media, questo significa che i media guidati dalle relazioni hanno assunto un ruolo primario rispetto ai media guidati dai contenuti: attraverso i contatti sociali io vengo comunque a conoscenza di contenuti interessanti, ma è come se non fossero più questi ultimi a muovermi, bensì le persone che conosco, le persone che in larga misura la pensano come me, quelli che secondo qualche algoritmo potrei volere seguire.
Con quali conseguenze sulla mia capacità di conoscere davvero qualcosa di nuovo o di essere educato a diversi modi di pensare? Si potrebbe dire che anche i quotidiani e i magazine che scelgo sono quelli più affini ai miei gusti e dove in parte so cosa troverò. Una testata stampa, però, non viene fortunatamente scritta per me, non lascia che io selezioni già a monte quello che voglio, non è personalizzabile diversamente da me o da mio padre, ma prende delle decisioni che non mi considerano e che quindi possono portarmi dove non pensavo di arrivare, e soprattutto dove non sapevo di volermi spingere. Paradossalmente proprio su internet, proprio sul medium che mette allo stesso livello tutte le informazioni e le rende potenzialmente disponibili, ho il timore di perdere quello che non so di non sapere, ma che non di meno può completare il mio modo di pensare.

Le statistiche dicono che i social plugin di Facebook hanno aumentato il traffico dei siti di news: le persone vengono a conoscenza di ciò che succede dai propri contatti e poi vanno a leggere la fonte segnalata. Quando Facebook diviene il mio primo accesso all’informazione e la mia agenda è dettata dagli share e dai like, quante probabilità ho di conoscere quello che non avrei cercato? Anche perché esistono contenuti a cui più facilmente si mettono like e che più narcisisticamente si condividono e non sono necessariamente quelli che meritano la prima pagina: se pensate agli ultimi like che avete messo, sono probabilmente riservati a una bella foto di amici o a una vittoria della squadra del cuore (o del candidato politico per cui avete votato voi e molti dei vostri amici) che non alle notizie sul debito greco o sugli sbarchi a Lampedusa.
In tutto questo anche Google sta arricchendo la ricerca di una presunta “intelligenza sociale”col suo +1 button, dando la possibilità di mostrare nei risultati quello che i nostri amici hanno giudicato rilevante: comodissimo (pigro?), ma a che prezzo? Già ci suggerisce, mentre scriviamo, quello che forse vogliamo cercare in base alle ricerche degli altri, togliendoci, se ci facciamo tentare, anche la serendipity dell’errore.

Qualche giorno fa ho letto un interessante articolo del Guardian in merito all’impatto negativo che gli strumenti di personalizzazione delle informazioni online possono avere sul nostro grado di conoscenza complessiva: è come se le aziende, attraverso i loro algoritmi (espressione matematica dei loro desideri), prendessero al posto nostro delle decisioni di cui non sempre siamo consapevoli, ma che potenzialmente restringono il nostro orizzonte. L’articolo inoltre riflette sull’impatto sociale di questi tool di personalizzazione: oggi il capitale di conoscenza orientato al gruppo (“bonding”) sta avendo il sopravvento sul capitale di conoscenza che si forma quando si incontrano persone con diversi background (“bridging”) e questo può danneggiare il nostro senso del sociale, del pubblico inteso come luogo in cui affrontiamo problematiche che esulano dai nostri interessi.

È come se a un certo punto il web fosse diventato troppo esteso e confuso per le nostre capacità di orientamento, per cui sta divenendo più importante la bussola dell’esplorazione e ci vengono offerti strumenti sempre più sofisticati, personalizzati e condivisibili.

Ecco, ero lì che mettevo like su Instagram e mi sono chiesto: se quello che veniamo a conoscere non è guidato primariamente dai contenuti ma dalle relazioni, questo filtro sociale alle informazioni amplia la nostra conoscenza o al contrario la restringe in un recinto più rassicurante?
Forse, come dice in un bellissimo articolo Franzen sul New York Times, inseguire solo quello che piace è da codardi: occorre avere il coraggio di andare alla ricerca di ciò che può fare male.