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Il bello del filtro: il fenomeno Instagram

§ luglio 23rd, 2012 § Filed under Advertising, Apps, Cinema, Social Media § Tagged , , , , , , , , , § No Comments

Che io sappia, non esistono statistiche del proprio iPhone. Non mi è dato conoscere quante volte al giorno lo guardo, quanto tempo ci passo, quali sono le attività che faccio più spesso, quali le applicazioni su cui resto più a lungo. E forse è una fortuna, perché potrei scoprire cose di me che non sono ancora pronto a sapere.

Certo, se dovessi scommettere, punterei 4,99 su Instagram come mix vincente di frequenza e durata. Ormai ho chiuso in un cassetto la Lumix, che tante soddisfazioni mi ha dato, guardo con rammarico la Lomo, che sempre più spesso resta a casa nonostante gli scatti di amici appesi alla parete e raccolti su Flickr, e viaggio solo con l’iPhone: probabilmente il numero di foto che faccio e che guardo online supera giornalmente il numero di chiamate che faccio e ricevo.

Io non rappresento certo la misura del successo di un’applicazione, ma lo sono il fatto che ad aprile Facebook abbia comprato Instagram per un miliardo e che qualche giorno fa Instagram abbia festeggiato un miliardo di foto condivise. Tanto è già stato scritto sui motivi del suo successo, per cui mi limito a ricordare alcuni fattori a mio avviso fondamentali: l’estrema semplicità di utilizzo, l’immediata possibilità di migliorare le proprie immagini senza particolari expertise tecnologiche, un’ottima qualità di realizzazione e il piacere di condividere le foto e guardare quelle altrui.

In particolare quest’ultimo aspetto rileva insight interessantissimi sulla natura umana (mi viene quasi voglia di fare una tesi in sociologia dal sapore geek): su Instagram ci si può fare facilmente un’idea generale al di là degli amici stretti, dato che, se non diversamente deciso, il proprio profilo è pubblico e tutti possono trovare le foto degli altri, seguendo i like tra contatti comuni, gli hashtag utilizzati o l’ambita pagina delle foto Popular.

Popular Photos - 22 luglio 2012

Che cosa fotografano le persone, cosa prediligono condividere e che cosa attira i maggiori favori?

Vi sono alcuni classici dell’animo umano che non mancano nemmeno su Instagram: tramonti mozzafiato, cuccioli coccolosi e monumenti da cartolina. Ovviamente anche il cibo è sempre molto popolare, ma già qui mi sembra di notare due categorie di particolare interesse: le personali creazioni culinarie e le colazioni come dio comanda. Food blogger di tutto il mondo hanno quindi un altro modo di mostrare le proprie abilità, di attrarre nuovi lettori e spesso anche di migliorare la qualità delle immagini pubblicate nei post (fare belle foto al cibo è davvero difficile senza quei magici filtri). Le colazioni “a modo” sembrano essere invece un irresistibile oggetto di condivisione per chiunque abbia l’applicazione: sarà il piacere di trattarsi bene al risveglio, sarà che è un pasto spesso sancisce la differenza tra settimana e weekend o tra lavoro e vacanza, sarà che al mattino c’è un’ottima luce per fotografare, fatto sta che cappuccini, marmellate, leziose tavole apparecchiate con tanto di libri e fiori la fanno da padrone. Complimenti quindi a quei buongustai di Breakfast Review che hanno creato un hashtag per importare sul loro sito le foto di questo pasto così fotogenico. Ma in qualche modo anche la catena di hotel NH  ha capito che la mattina è un momento d’oro per coinvolgere i propri clienti e tramite l’hashtag #WakeUpPics è riuscita a raccogliere foto di risvegli nei propri Hotel, protagonisti di una mostra fotografica a Madrid.

Oltre al nostro stomaco c’è un’altra parte del corpo che esercita una grande attrazione fotografica: i piedi. Nudi, con scarpe, in mezzo alla sabbia, fuori dalla vasca, appoggiati a una ringhiera, sembrano essere diventati la metonimia dell’hipster fotografo. Ecco perché sembra assolutamente naturale guardare le foto di brand come Converse e adidas Originals e taggare le proprie scarpe con i loro hashtag. Ma anche marche meno note possono trovare un terreno particolarmente fertile. È il caso di Rebecca Minkoff, un brand di accessori che grazie all’uso di Instagram ha visto crescere improvvisamente la vendita delle proprie scarpe. Da quando la stilista ha pubblicato “the shoe of the day”, il numero di like e commenti alle sue scarpe è andato crescendo progressivamente. Attorno a queste foto di scarpe si è formata una community spontanea che ormai è usata dall’azienda come “tester” in real time del gradimento delle nuove creazioni e come consumatori da indirizzare ai retail in cui i prodotti vengono venduti.

ricerca #converse luglio 2012

L’ultima tipologia di foto che mi incuriosisce ha come oggetto i contenuti di intrattenimento. Mi capita sempre più spesso di mettere like a foto di locandine dei film, scattate prima di entrare in sala, o a immagini dello schermo televisivo che trasmette la prima puntata di una nuova serie, o la scena di un vecchio film entrata nella storia del cinema. Qui non c’è più nessuna velleità artistica, ma solo il desiderio di fare sapere che cosa ci piace, che cosa scegliamo, e quindi di attirare gli apprezzamenti di chi ha i nostri stessi gusti. In un mondo in cui i contenuti si rinnovano e si superano a velocità frenetiche e in cui vedere un episodio con un giorno di ritardo è considerato da perdenti, le immagini sono il modo più rapido per dire io sono già in sala, l’ho già scaricato, so già come va a finire. Le foto battono addirittura Twitter in quanto a velocità e sintesi, e consentono di essere meno banali con minore sforzo.

Si aprono quindi nuove possibilità per i produttori di contenuti, come nel caso della CBS con la serie NCIS: Los Angeles, che ha mostrato ai fan immagini del dietro le quinte scattate dal cast e ha dato agli stessi fan la possibilità di avere una propria foto mostrata durante la puntata finale, usando l’hashtag #NCSILA.

 

Insomma, le 50 milioni di persone che fino a oggi hanno condiviso almeno uno scatto su Instagram fanno gola a tante aziende, ma come sempre negli ambiti social la regola aurea è la rilevanza. A qualunque azienda volesse aprire un profilo e dialogare con le persone, suggerirei prima di guardare cosa gli instagrammers stanno già condividendo e quali hashtag stanno andando per la maggiore. Qualche esempio, per giocare: a un brand di cosmetica possono interessare le migliaia di foto scattate allo specchio (in primis in bagno, ma non solo) da fanciulle di tutto il mondo, sempre alla ricerca di nuovi spunti per mettere online il proprio faccino finto imbronciato, quasi sicuramente di trequarti; alle compagnie aeree possono interessare gli splendidi panorami che vengono fotografati dal finestrino non solo dai viaggiatori, ma anche da hostess e steward (pare che tra decollo e atterraggio non facciano altro). Se già i propri dipendenti sono su Instagram a scattare meraviglie, allora si ha davvero l’occasione di mostrare qualcosa di rilevante.

 

Io, nel mio piccolo, mi offro come testimonial per compagnie di barche alla deriva, spazzaneve e bagnini.

my top photos on Instagram

l'iPhone sarà la nuova console (per i brand)?

§ dicembre 28th, 2008 § Filed under videogame&media § Tagged , , , , § 4 Comments

Ideas about gaming

Su Ad Age, ottima rivista di advertising e media, è apparsa un’interessante riflessione dal titolo “Smartphone Could Fuel Surge in Video Gaming”; non inserisco il link poichè gli articoli sono visibili gratuitamente solo nella prima settimana dalla pubblicazione.

Tra videogame per console e videogame per cellulare c’è sempre stato un abisso: i primi sono immersivi, complessi e piuttosto costosi, i secondi sono casual, semplici e tendenzialmente gratuiti o economici.

In realtà sono differenze che riguardano più le potenzialità dell’hardware che non l’attitudine delle persone: chi gioca è infatti sempre portato a concentrarsi più o meno a lungo sull’azione e a volere rigiocare per cercare di battere se stesso – abilità – o gli altri – competitività.

Oggi però gli Smartphone sono sempre più delle scatole tecnologiche che consentono, tra le altre cose, di telefonare e con le quali è possibile avere esperienze di gioco evolute per certi versi paragonabili alle console portatili o in ogni caso appaganti per un pubblico allargato.

Ecco perchè mi sembra molto interessante il fatto che, come riporta l’articolo citando uno studio della NPD:

smartphone users play games more often than they use the business-related applications on their devices. Among iPhone users specifically, playing games was the most increased use of the phone over the past three months.

Perchè un post su questo argomento? (se lo dico solo alla 20° riga, forse sono un po’ logorroico).

Perchè al di là delle potenzialità dell’hardware credo che proprio il gaming possa divenire il punto di incontro vincente tra la comunicazione dei brand e l’utilizzo del mobile come medium: sempre più spesso si sente parlare di mobile advertising e sembra che ogni anno sia quello buono per la sua definitiva esplosione. Appena lo si nomina gli uomini di marketing drizzano le orecchie, alla ricerca di novità con cui distinguersi dai competitor e in grado, chissà, anche di fare riprendere i consumi: mobile, viral e social media sono le parole che esaltano grandi e piccini nella comunicazione.

Al momento, a mio avviso, non sono però stati trovate forme di comunicazione adatte a utilizzare un mezzo in cui non siamo abituati a ricevere pubblicità, su cui abbiamo e vogliamo mantenere massimo controllo, ma anche dal potenziale enorme, dato che è sempre e ovunque accanto a tutti noi, una vera estensione della nostra persona.

Personalmente io ricevo solo fastidiose offerte di una mia ex palestra e messaggi della Tim che non leggo , poichè sono troppi, arrivano al momento sbagliato e non catturano mai la mia attenzione, come invece fanno gli sms degli amici.

La brandizzazione di game o forme di pubblicità all’interno di giochi per l mobile possono invece divenire le forme ideali per:

  • fornire contenuti e non fare solo pubblicità (contest is king)
  • fare partecipare attivamente il target alla nostra comunicazione (prosumer)
  • essere certi che il messaggio sia visto dal nostro target (il gioco mi sembra l’antitesi del multitasking)

Mi piace molto il riferimento all’aumento d’uso del gaming soprattutto per l’iPhone, dato che il gioiellino della Apple, vero oggetto di lifestyle, è sempre di più un anticipatore delle tendenze future per tutta la categoria. Soprattutto l’App Store, che consente agli utenti di installare applicazioni sviluppate da terze parti, può essere la killer application per portare la comunicazioni, o meglio ancora i contenuti dei brand sotto forma di game a un target attivo, coinvolto e partecipativo. O no?

Secondo voi quali sono le opportunità o i rischi che vengono ai brand da questa forma di comunicazione? Conoscete già dei case study interessanti?

Infine, gli smartphone possono diventare dei veri e propri competitor delle console portatili o al contrario essere degli alleati?

Io voto la seconda ipotesi, poichè chi vuole principalmente giocare sceglierà sempre una DS o una PSP, per la forza del brand, ma anche per le loro specifiche funzionalità e per non scaricare la batteria del cellulare (come si legge chiaramente qui); gli smartphone possono invece fare comprendere più facilmente ai brand le potenzialità del (casual) gaming come mezzo di comunicazione allargato, con grande beneficio di tutta la categoria.

Il primo che mi risponde vince un iPhone! (scherzo)